martedì 29 gennaio 2008

La fanteria di marina nella grande guerra



La fanteria di marina nella prima guerra mondiale

di Pierluigi Romeo di Colloredo


Le operazioni terrestri della Regia Marina iniziarono quando vennero occupate Grado e Monfalcone, zone che vennero affidate al presidio costiero della Marina.
Data la necessità di artiglieria pesante nei territori presso le foci dell’Isonzo vennero inviati cannoni navali, serviti da personale navale; alcuni di questi vennero impiantati su pontoni e serviti da equipaggi di navi affondate, come l’incrociatore pesante Amalfi, silurato nel Luglio del 1915: con i suoi superstiti vennero formate due compagnie operanti nelle batterie galleggianti presso Grado, ed una terza, denominata Gruppo Amalfi, armata con cannoni da sbarco da 76/17, che operò inquadrata nel XI Corpo d’Armata tra Peteano e Sdraussina.
Sopraggiunta la ritirata seguita allo sfondamento di Caporetto i marinai riuscirono a portare in salvo tutti i materiali, trasportandoli fortunosamente con zattere e pontoni attraverso i canali interni, ed attestandosi a Capo Sile, divenuto l’ultimo ostacolo per le truppe austro- ungariche prima di Venezia, la cui difesa dipendeva dalla tenuta delle foci del Piave: il generale Diaz e l’ammiraglio Paolo Thaon di Revel decisero di affidare il settore ai marinai utilizzandoli come fanteria di marina.
Non era una novità per le forze armate, giacché, prescindendo dai fanti da mar veneziani, già nel 1714 l’esercito sabaudo aveva costituito un reggimento di fanti di marina, il Real Navi, nel 1908 i marinai della R.N. Elba avevano combattuto come fanteria in Cina contro i Boxer, e nel 1911 marinai in tenuta da sbarco avevano conquistato Tripoli.
Con mille difficoltà per il reperimento dell’organico venne dunque costituito il reggimento Marina, comandato dal capitano di vascello Alfredo Dentice di Frasso.
Tale reggimento era costituito da quattro battaglioni su tre compagnie di 250 uomini ciascuna, denominati Monfalcone, Grado, Caorle e Golametto dalle località dove avevano operato i pontoni armati inquadrati nella 3a Armata.
Venne anche costituito un Raggruppamento di Artiglieria di Marina, comandato dal capitano di fregata Antonio Foschini, con otto gruppi di artiglieria.
A causa della carenza di ufficiali di marina preparati alla guerra terrestre, se i comandi di reggimento e dei battaglioni vennero affidati ad ufficiali della Regia Marina, quello delle compagnie e dei plotoni venne dato ad ufficiali dei Granatieri di Sardegna, dato che tale specialità era considerata la migliore come addestramento e come morale di tutto il Regio Esercito.
Nei mesi seguenti gli ufficiali aumentarono di numero, ed il reggimento raggiunse una forza di 140 ufficiali e 3000 uomini; vennero effettuati numerosi colpi di mano, e costituita una compagnia i Arditi reggimentali.
Nel marzo 1918 il comandante del Monfalcone, tenente di vascello Andrea Bafile, cadde durante una ricognizione oltre le linee austriache, ed in seguito il battaglione venne ridenominato con il suo nome.
Il 19 marzo, con una cerimonia in piazza San Marco a Venezia venne consegnato lo stendardo di guerra, dono dei veneziani, al reggimento.
In quell’occasione il sindaco della città, il Senatore Grimani, auspicò che il reggimento fosse battezzato San Marco, come poi avvenne, nome che il reggimento porta ancora oggi.
Nel corso di un anno di operazioni il reggimento perse un terzo della propria forza: 1.156 uomini, di cui 384 caduti, 19 mutilati, 753 feriti. Nessun marò cadde prigioniero.


Tratto dal libro La battaglia del Solstizio, Piave 1918, di prossima pubblicazione.

domenica 27 gennaio 2008

Il Battaglione Barbarigo ad Anzio-Nettuno

Riportiamo la relazione sulle azioni del Battaglione “Barbarigo” e del Gruppo “San Giorgio” ad Anzio, inviata il 7 giugno 1944 dal Comandante della Decima Flottiglia MAS, il Capitano di Fregata Junio Valerio Borghese al Ministro delle FF.AA. della RSI, il Maresciallo d’Italia Rodolfo Graziani ed al Capo di Stato Maggiore per la Marina Contrammiraglio Giuseppe Sparzani.

MlNISTERO DELLE FORZE ARMATE
Sottosegretariato di Stato per la MarinaUfficio del Sottocapo di Stato Maggiore Operativo
Reparto F.M. P.d.C. 781 lì 7.6.44. XXII°Prot. n. 02231 Alleg. 4

ARGOMENTO: Rapporto sul Battaglione Barbarigo e sul Gruppo Artiglieria "San Giorgio".

Al Ministro delle FF.AA. tramite e, per conoscenza, Al Capo di Stato Maggiore per la Marina

SEGRETO RlSERVATO PERSONALE

Premesse

Il Battaglione Barbarigo al suo arrivo in linea costituí, su richiesta degli alleati, n. 2 Batterie da 105 con uomini tratti dagli effettivi del Battaglione. In seguito, alle due costituite Batterie fu data la físionomia di Gruppo, inviando dal Deposito un Comandante del Gruppo ed altri Ufficiali con del personale.Il Battaglione ed il Gruppo sino al 12/5 assunsero la forma di un Gruppoda Combattimento agli ordini del Comandante di Corvetta Bardelli.Alla data suindicata, il suddetto Ufficiale rientró per assumere l'organizzazione del costituendo I Reggimento della Divisione "Decima" e le due unitá si scissero in Battaglione di Fanteria agli ordini del Tenente di Vascello Vallauri ed in Gruppo d'Artiglieria agli ordini del Tenente di Vascello Carnevale.Entrambe le unitá, che in seguito, per abbreviazione, chiameró con il nomedi "Barbarigo", furono assegnate alla 715° Divisione Motorizzata agli ordinidel Generale Hildebrand. In particolare, sia il Battaglione che le Batterie erano agli ordini del Colonnello von Schellerer che comandava il Kampfgruppe omonimo.In sostanza, peró, agli ordini diretti del Colonnello von Schellerer vi sono state solo tre Compagnie sulle quattro del Battaglione e le due Batterie.Una Compagnia era sempre agli ordini di altri Comandi (Canale Mussolini o Terracina). Le due Batterie erano agli ordini del Gruppo d'Artiglieria germanico aggregato al Gruppo v. Schellerer, la Batteria d'accompagnamento era agli ordini diretti del Gruppo e le Compagnie suddivise tra i Battaglioni germanici, sempre del Gruppo.Il Comando del Barbarigo per ordine del Col. v. Schellerer ha sempre operato al fianco del Comando dell'11° Battaglione del 735° Reggimento Granatieri. Fu piú volte prospettato al Col. v. Schellerer di portare il Comando del Barbarigo accanto al Comando del Gruppo da Combattimento tedesco; ma di tali richieste non fu mai tenuto molto conto.In occasione del ripiegamento, i reparti germanici si trovavano quasi tuttialle dipendenze del Col. v. Schellerer (ad eccezione di un plotone della 1°Compagnia rimasto a Cisterna e che si é immolato al completo), ossia alledipendenze di vari Comandi tedeschi, tutti peró dipendenti da detto Ufficia-le Superiore.Svolgimento della situazione durante il ripiegamentoNonostante il continuo contatto tra il Comando del Battaglione ed il Comando dell'11°/735, contatto reso ancora piú intimo per la personale amicizia tra i due Comandanti, nulla fu mai accennato al Comandante del Battaglione circa l'opportunitá di predisporre un ripiegamento. Tuttavia, giá da alcuni giorni erano stati insistentemente richiesti ordini per l'arretramentodei magazzini e dell'autoreparto; ma fu risposto che il Comando del Gruppoavrebbe eseguito una ricognizione nella zona e che sarebbero giunti ordini aricognizione eseguita.Come da notizia ottenuta in seguito, il Comando della Divisione inizió il suo ripiegamento il giorno 23/5.Il giorno 24/5 il Tenente di Vascello Vallauri, Comandante del Battaglione, si portava alle ore 11 al Comando v. Schellerer di sua iniziativa, per riferirecirca l'avvenuto rientro di due plotoni della 2° Compagnia da Cisterna e perchiedere ordini al riguardo. Con somma meraviglia notava che si stava te-nendo un rapporto a tutti i Comandanti di Reparto del Gruppo v. Schellerer e che tutto era pronto per una rapida partenza.Atteso sino alle ore 14 che il detto rapporto fosse terminato, ricevette ordi-ni verbali che si possono così sintetizzare:- inizio del ripiegamento su altre posizioni alla sera dello stesso giorno;- immutate dipendenze tattiche e logistiche di ciascun reparto italiano daidiversi Comandi tedeschi;- modalitá del ripiegamento da apprendersi per ogni reparto italiano daidetti vari comandi tedeschi.I reparti hanno quindi ripiegato isolatamente e non ci si puó meravigliarese é mancato ogni collegamento tra comandi dei reparti ed il Comando delBarbarigo ed a volte tra comandi germanici e comandi italiani, quando lostesso C.do dell'11°/735 presso il quale é sempre rimasto il Comando delBattaglione perse piú volte il contatto con i comandi dipendenti, laterali esuperiori. Per tale mancanza di collegamenti, per gli stessi reparti tedeschiche si trovavano alla retroguardia fu necessario addivenire ad un nuovo qua-dro di dipendenze.Nessun reparto italiano abbandonato così a se stesso si é sbandato: tuttihanno cercato con ogni mezzo di riprendere il collegamento, reso piú arduodall'azione di partigiani che impediva l'uso di staffette su di un fronte cosìvasto ed in zona montagnosa. Spostandosi la battaglia verso Tivoli e Roma enon riuscendo i reparti a stabilire alcun collegamento, questi hanno conti-nuato a combattere isolati fino a quando i comandanti di propria iniziativadecidevano di rientrare nella caserma di Roma, ove prevedevano la possibilitá di raccogliersi e di ricevere nuovo ordini per l'impiego.Il giorno 27 era rimasta in linea la 4° Compagnia alle dipendenze del 1°/735 ed il Comando del Battaglione con un plotone della 1° Compagnia alledipendenze dell'11°/735.L'episodio del forzato disarmo della 4° Compagnia costringeva il Coman-dante del Battaglione ad ordinare il rientro a Rorna della Compagnia ed apresentarsi egli stesso al Comando della 735° Divisione per protestare del-l'avvenuto disarmo e comunicare a detto Comando della decisione presa.Il giorno 30 tutto il Battaglione e le Batterie erano radunate a Roma (leperdite durante il ripiegamento sono state di 2 Ufficiali, 11 Sottufficiali e 110 tra Sottocapi e Maró) e sarebbe stato possibile impiegare nuovamente la gente se il comportamento dell'alleato nelle recenti vicende non avesse creato negli uffíciali e nei marinai una notevole diffidenza della sua lealtá nei loro riguardi.Il Comandante di Corvetta Bardelli, Comandante del Reggimento, da meinviato a Rorna, non appena fu informato della situazione colá creatasi, siadoperó sino dal giorno del suo arrivo a far sì che fosse immediatamentesventata la manovra di addossare ai reparti, che avevano fatto piú del lorodovere, l'insuccesso tattico della 735° Divisione con susseguente crisi.Il detto Ufficiale si adoperó poi a far sì che al Barbarigo arrivassero ordinichiari e precisi per il successivo impiego.In seguito a vari ordini e contrordini, il giorno 3 pomeriggio il Battaglionefu posto agli ordini del Comandante tedesco della cittá di Roma ed una Compagnia di formazione, di 130 marinai con 6 Ufficiali prese posizione lungo la Via Appia a 10 km a sud di Roma alle ore 20 di detto giorno, con il compito di assicurare la ritirata da Roma delle unitá tedesche. Alle prirne ore del giorno 4 giugno il Battaglione che aveva soltanto ricevuto l'ordine di ripiegare contrariamente a tutti i precedenti avvisi, iniziava il trasferimento verso La Spezia. A causa della crisi di automezzi e della sorpresa causata dall'ordine improvviso, i reparti stanno ora affluendo a piccoli gruppi, dove vengono rimessi in ordine ed avviati in breve licenza prima di riprendere la formazione e l'addestramento.ConsiderazioniLe caratteristiche e gli sviluppi del ripiegamento erano in gran parteprevedibili; é opportuno, peró, nella presente circostanza studiare le cause,siano esse delle colpe o dei meriti, onde trarre ammaestramenti per l'avveni-re.1. Il Battaglione non é mai stato dal Comando Operativo Germanico impie-gato unitariamente. Ne viene di conseguenza che in fase di movimento si é determinata una evidente crisi di dipendenze, resa piú accentuata dall'analoga crisi verificatasi nei comandi germanici.2. La scissione non é stata ordinata soltanto tra i reparti, ma talvolta nell'in-terno delle stesse compagnie, plotoni e squadre, offrendo grandi possibilitá agli elementi peggiori dell'alleato di svolgere una nefasta propaganda sui marinai e di dimostrare una mentalitá orientata ancora sull'8 settembre.3. Le relazioni tra comandi germanici e comandi italiani sono state ottimefino a quando si é trattato di elementi che da tempo collaboravano insieme.I comandi germanici si sono sempre dimostrati privi di ogni comprensione e talvolta decisarnente ostili, non appena la situazione ha portato le unitá a dipendere da comandi che non erano stati con loro in linea.4. I reparti sono rimasti compatti nella crisi di ordini ed hanno ripiegato siapure di iniziativa, ma sempre combattendo. Si puó forse muovere una cri-tica ai comandanti che hanno condotto i loro reparti a Roma, ma ció era anche naturale, perché solo lì era prevedibile una riunione dei reparti e la soluzione immediata del problema alimentare (nessun reparto aveva avuto i promessi viveri di marcia, ma solo l'ordine in partenza di "arrangiarsi"). Tale ordine era facilmente eseguibile da truppe tedesche in terra italiana, ma non lo era altrettanto da parte nostra.InsegnamentiDa quanto é sopra detto si debbono trarre i seguenti punti base per ognifuturo invio di truppe regolari italiane in linea.1. Non basta inviare solo uomini che debbono poi dipendere in ogni minimacosa dai reparti alleati, il che provoca come conseguenza che la dipendenza logistica comporta l'assoluta dipendenza tattica e lo spezzettamento dei reparti.Occorre quindi inviare in linea unitá di gran lunga maggiori al Battaglioneod al Gruppo d'Artiglieria e soprattutto dotate di tutti i mezzi che qualunque fase del combattimento possa richiedere. Dette unitá debbono essere maggiormente addestrate di quanto non lo fosse il Barbarigo (questo è sceso in linea per il solo 'impegno morale' di essere unica unitá delle FF.AA. della Repubblica al fianco dei germanici alla difesa di Roma), dotate di mezzi di comunicazione e di propria autonomia, onde consentirne l'impiego unitario, unico impiego veramente redditizio e sul quale, anche secondo la recente esperienza, si puó fare senz'altro il piú sicuro affidamento.2. L'impiego di volontari é senz'altro da ripetersi, in quanto dette formazio- ni, per la loro stessa origine, hanno piú mordente e maggiore facoltá di riprendersi dopo una crisi. Ne fanno testimonio i 130 marinai che, dopo la delusione avuta, scarsamente armati e dotati solo del loro entusiasmo e della loro fede, si sono portati in linea la sera del 3 giugno, mentre vedevano ritirarsi i carri armati e le altre unitá germaniche. Senza peccare di troppo usata retorica, i detti marinai sono partiti per un'avventura che lasciava facilmente prevedere la quasi sicura fine per tutti, cantando a gran voce e suscitando la commossa ammirazione dei tedeschi in ritirata.3. Il Barbarigo é prontamente ricostruibile ed il recente ripiegamento ha per-messo di fare la selezione dei quadri e della gente, pur essendo costato la perdita di ottimi elementí.AllegatiSi allegano i rapporti circostanziati e di dettaglio del Comandante diCorvetta Umberto Bardelli sull'argomento.

IL SOTTOCAPO DI STATO MAGGIORE OPERATIVO

F.to Borghese

Il Comandante Bardelli parte 4


Copyright foto Serena Rattazzi Bardelli-Ass. Italia, 2005

8 settembre 1943: da Taranto a Trieste

Mentre Umberto Bardelli era imbarcato sullo Scipione Africano, sua moglie Lisetta, la sua famiglia e la figlia Serena erano temporaneamente residenti a Sava, in provincia di Taranto, dove erano sfollati. Quindi, nelle parole della figlia Serena Bardelli Rattazzi: Lì, ai primi di luglio 1943, mamma ricevette una lettera in cui babbo le chiedeva di raggiungerlo con me a Spezia, dove avremmo atteso l’inizio della sua licenza di convalescenza alla fine del mese, per poter poi proseguire con lui per Laurana, in Istria, vicino ad Abbazia, dove i nonni Bardelli avevano una casa sul mare. Mamma ed io siamo arrivati a Spezia il 16 luglio, ignare del fatto che il giorno prima lo Scipione era partito per Taranto, fatto comunicatoci da Valerio Borghese, che ci aveva aspettato alla stazione e che ci portò all’Albergo delle Palme, a Lerici, dove rimanemmo sino alla fine del mese, mentre mio padre terminava il suo periodo di servizio sullo Scipione a Taranto. (8)Il Maggiore G.N. Bardelli fu posto in licenza di convalescenza il primo settembre 1943, e recatosi a Laurana, trascorse qualche giorno circondato dagli affetti familiari e dedicandosi ad uno dei suoi hobby, il disegno. Abile disegnatore, Bardelli passerà la notte tra il 7 e l’8 settembre disegnando più di 500 soldatini per i suoi nipoti. (9) L’otto settembre 1943, alla notizia dell’Armistizio, dopo un primo, profondo, momento di rabbia e costernazione, Bardelli decise immediatamente di lasciare Laurana, ritenuta troppo vicina al confine, raggiungendo casa Bardelli a Trieste. Quindi, come vedremo tra poco, si adopererà con il suo consueto coraggio per contribuire alla difesa dell’Istria.Nell’Istria la situazione era infatti critica: approfittando dello sbandamento della maggior parte delle unità italiane, gli irregolari slavi, appoggiati da elementi italiani comunisti, arrivarono a controllare le vie di comunicazione della regione, e, forti delle armi e degli equipaggiamenti abbandonati dal R.E.I., iniziarono a premere verso i centri abitati, rimasti isolati.Ma, a fronte dello sfascio di molti reparti delle FF.AA. Regie, altre unità italiane, dopo aver preso accordi con i tedeschi, tentano di opporsi ai montanti attacchi slavi.A Pola il Capitano di Fregata Alessandro Mirone radunerà i marinai rimasti, costituendo una unità di formazione di Fucilieri di Marina, e, assieme a elementi della 60a Legione Camice Nere, difenderà la periferia dell’importante base navale, comprendente il grande ospedale della Marina, dalle bande partigiane.L’unità di formazione citata sarà poi denominata Battaglione Fucilieri di Marina - Pola, e posta al comando del Tenente di Vascello Carlo Russo.Per rinforzare il presidio fu organizzata a Trieste una colonna motorizzata italo - tedesca, che doveva dirigersi su Pola attraversando l’Istria.La colonna, al comando dell’Hauptmann Weigand e dello Sturmbannführer Hertlein, era costituita da reparti della Heer, delle SS, di volontari fascisti di Trieste e di Legionari del 134° Battaglione Camicie Nere, e il 12 settembre 1943 mosse verso Pola. (10) Il Maggiore G.N. Umberto Bardelli, appena arrivato a Trieste, si mise in divisa ed andò al Comando Marina, e, subito dopo, probabilmente perché non aveva avuto alcun ordine, e vista la confusione e lo sfascio delle forze militari italiane nella città, si presentò al Comando tedesco, dove gli fu ordinato di imbarcarsi su di una nave tedesca conducente azioni di guerra a Pola. (11)Quando Bardelli tornò da Pola venne a conoscenza, probabilmente da un collega della Marina o da un altro Ufficiale, del fatto che il Comandante Junio Valerio Borghese era rimasto al suo posto a La Spezia, e che non aveva ammainato la bandiera italiana dalla Caserma della Decima MAS.Decise allora di raggiungere Borghese, e con sua moglie, sua figlia e la fedele cameriera Ferruccia, partì da Trieste verso Spezia, con una autovettura e due camion di volontari, autorizzato dai tedeschi che gli rilasciarono un Ausweis, regolare permesso di transito. (12)Successive operazioni di forti reparti tedeschi, assieme a truppe italiane, portarono alla stabilizzazione dell’Istria (2-10 ottobre 1943), e l’impiego di altre Grandi Unità tedesche e forze di controguerriglia portarono il IX Korpus a ritirarsi, alla fine del 1943, verso le zone dell’interno.Se la partecipazione del Maggiore Bardelli ai combattimenti terrestri per Pola è indicata da fonti indirette (Arena e Sanvito), il Sottotenente Paracadutista Bordogna, in una testimonianza personale, riferisce come il 17 settembre 1943Arrivai a Trieste dopo diverse peripezie sempre in divisa: incontrai a Trieste il Maggiore del Genio Navale Bardelli colà inviato dal Comando Xa per recuperare materiale dell’arsenale di Pola. Riuscimmo ad armare una nave, trasferirla a Trieste e con un camion portare il materiale recuperato a La Spezia. (13) Questo viaggio avrebbe portato Bardelli non più tra le onde del mare, ma tra le buche e il fango dei combattimenti di terra. La sua volontà di servire la Patria, in un caso o nell’altro, rimase la stessa.

La Decima MAS: dal Maestrale al Barbarigo

Dopo questo periodo drammatico, Bardelli raggiunse il 19 settembre 1943 la caserma del Muggiano con la sua famiglia, il Sottotenente Paracadutista Mario Bordogna, tre autocarri ed un automezzo trasportanti ventisette marinai e materiale di equipaggiamento prelevato dall’Arsenale di Pola. (14) La fama della M.O.V.M. Borghese tra gli Ufficiali dell’Arma Subacquea italiana, e l’essere entrambi Sommergibilisti, furono tra le circostanze che portarono Bardelli alla Decima MAS nel settembre 1943. Borghese non poteva non avere fiducia, in un momento così grave, di un combattente pluridecorato ed esperto come Bardelli. Anche Ligetta Bardelli renderà un prezioso servizio alla Decima MAS, arruolandosi come volontaria civile nell’Ufficio Assistenza Decima. Nel dopoguerra Luigia Maresca Bardelli e Raffaella Duelli, attiveranno, assieme a Mario Bordogna, un centro di assistenza per l’invio di pacchi ai Marò in campo di prigionia a Taranto.Nel settembre-ottobre 1943, a causa dell’enorme afflusso di volontari, la Decima Flottiglia MAS, pur mantenendo i suoi reparti navali d’élite, stava formando quelli che sarebbero diventati i suoi primi Battaglioni di Fanteria di Marina, e che portarono in seguito alla formazione della Divisione F.M. Decima. Sergio Nesi dà un ritratto vivido della formazione dei reparti di Fanteria di Marina della Decima MAS, e del loro primo organizzatore, nonché Comandante del primo di questi reparti, il Maestrale, Umberto Bardelli: Alla fine di settembre i volontari erano già alcune centinaia […] Tutti volevano riprendere la guerra a bordo dei mezzi d’assalto o dei M.A.S.; richieste ovviamente inutili per altrettanto intuibili motivi. Fu quindi giocoforza pensare di costruire una nuova X Flottiglia M.A.S., quella di terra, una Fanteria di Mare di nuovo tipo, ma sempre nelle caratteristiche dei Battaglioni “San Marco”, i noti “Fanti de Mar”. Il problema che nella Flottiglia gli Ufficiali e i Sottufficiali fossero tutti della Marina e molti di essi fossero Sommergibilisti fu superato dal fatto che la maggior parte dei volontari proveniva invece dall’Esercito. A capo di quella organizzazione da inventare di sana pianta fu però messo dal Comandante Borghese un Ufficiale di Marina, per di più un sommergibilista e per di più ancora un direttore di macchina. Era il Maggiore Umberto Bardelli, che, con il successivo ordinamento militare, divenne Capitano di Corvetta Fanteria di Marina. Era un uomo duro, magro, con il volto scavato e un monocolo perennemente incastrato nell’orbita sinistra, un formidabile organizzatore. (15) Bardelli, proprio perché proveniente dai Sommergibili, dove i rapporti tra Ufficiali e subordinati erano, per forza di cose, dati gli spazi ristretti e le condizioni di continuo contatto, più informali che in altre armi e specialità delle Forze Armate Regie e Repubblicane, era quindi particolarmente versato nel conquistare la fiducia dei Marò, in gran parte studenti e con l’entusiasmo dei volontari, entusiasmo che sarebbe svanito, o se non altro ridotto, da metodi di comando inutilmente autoritari, poco elastici e spesso affettanti una superiorità di “casta” prima che di grado, che erano deleteria caratteristica della maggior parte degli Ufficiali del Regio Esercito.Con questo si spiega anche la predilezione di Bardelli nel reclutare Ufficiali delle Truppe Alpine; l’Ufficiale Alpino, come sinteticamente spiega il Guardiamarina Paolo Posio, proveniente proprio dagli Alpini:Non soltanto combatteva con i suoi uomini, ma viveva e mangiava con i suoi Alpini, e aveva la divisa infangata come loro. (16)Caratteristiche ideali, quindi, per dei Comandanti di truppe volontarie, spesso irrispettose verso gli Ufficiali che non erano stati in grado di conquistare la loro fiducia, ma capaci di mostrare una disciplina irreprensibile e un grande attaccamento verso i “loro” Ufficiali.Il Capitano Bardelli fu senza dubbio, oltre che il primo Comandante, il creatore e l’anima del Maestrale, il primo Battaglione Fanteria di Marina a formarsi della Decima: molti futuri Ufficiali, Sottufficiali e Marò del Battaglione furono scelti direttamente da lui tra i moltissimi volontari, prescelti e subito sedotti dal carisma e dalla forza di volontà di questo eroe sommergibilista che stava adesso muovendo i primi passi come Ufficiale di Fanteria di Marina.Ecco come avvenne il reclutamento nel Maestrale del Tenente Paolo Posio: Il Guardiamarina Donini, Ufficiale degli N.P., mi invitò a recarmi a La Spezia e ad arruolarmi nei Nuotatori Paracadutisti.La mattina successiva mi recai al Comando Battaglione reclute al quale ero stato nel frattempo assegnato e comunicai la mia volontà di trasferirmi alla Xª Flottiglia M.A.S., di cui fino a qualche ora prima neppure conoscevo l'esistenza.La mia richiesta fu immediatamente accolta e mi presentai alla Caserma di S. Bartolomeo per essere arruolato nei Nuotatori Paracadutisti.Mi fu rilasciato un modulo e fui avviato alla visita medica per accertare la sussistenza delle qualità fisiopsichiche atte a fare di me un paracadutista.Sennonché mentre, diretto all'ambulatorio, percorrevo il vialone centrale molto affollato, mi sentii chiamare, con l'espressione "Alpino, dove stai andando?". Chi pronunciava queste parole era un Ufficiale Superiore indossante la divisa grigioverde della Xª, basco in tesata e “caramella” incastrata all’occhio sinistro. Salutai e, in posizione di attenti, spiegai che ero diretto al luogo della visita medica per l'arruolamento negli N.P., mostrando il modulo che mi era stato rilasciato.Era, come poi appresi, il Comandante Umberto Bardelli che preso il documento, lo stracciò e battendomi cordialmente sulla spalla mi disse: “Niente N.P., tu farai parte del Battaglione Maestrale”, unità che egli stava costituendo.Fui veramente affascinato dal suo modo di fare fermo e cordiale e nulla opposi alla sua unilaterale decisione che segnava il mio destino. Mi fece piacere trovare uno come Bardelli, che era un uomo straordinario. […] Era un uomo con una personalità affascinante. Fu quella che mi conquistò e che mi portò nella Compagnia di Cencetti… (17) Tenente M.O.V.M. Alessandro Tognoloni: All’otto settembre ero Ufficiale di Complemento di Fanteria appena nominato e mi trovavo ad Arezzo. […] Accettai di arruolarmi nella Repubblica Sociale e mi mandarono a Firenze. Lì, in un albergo, incontrai Bardelli, che mi colpì subito per il suo atteggiamento, così deciso e convinto. Non avevo ancora conosciuto Ufficiali Comandanti di quel tipo. (18) Sottocapo Egidio Cateni: Mi sentii sdegnato dal tradimento dell’otto settembre. Dopo aver sentito dire che a La Spezia c’era un reparto della Marina che era rimasto in armi mi recai subito là da Genova. Appena entrato nella caserma un Ufficiale con la “caramella”, mi vide, mi chiamò, e dopo avermi velocemente squadrato (io ero alto e robusto, anche se molto giovane) mi disse “Tu vieni al Maestrale!”. Mentre lo seguivo, mi immaginai subito a bordo di un cacciatorpediniere, alle mitragliere, mentre sparavo agli aerei nemici… quando mi dissero che il Maestrale era invece un Battaglione di Fanteria, mi caddero le braccia! (19) Marò Piero Calamai: Conoscevo il Comandante Bardelli fino dai primi giorni del Maestrale. Mi accolse con interesse perché i veterani erano indispensabili in un reparto di reclute. Mi chiamava per nome e quando passava in rassegna il reparto schierato si soffermava, mi scrutava con lo sguardo d’acciaio dietro la leggendaria “caramella” e poi si raddolciva nella solita bonaria raccomandazione di farmi la barba. (20) Non tutti gli “arruolamenti” di Bardelli andarono però a buon fine (ma si sa, l’eccezione conferma la regola…), come testimonia il Tenente di Vascello Sergio Nesi, già imbarcato sulla Regia Nave Montecuccoli: Conobbi Bardelli solo di sfuggita, quando mi presentai alla Decima nel novembre 1943. Egli mi vide e subito mi propose di comandare un Reparto di Fanteria di Marina; ma io, scherzosamente, gli risposi che ero entrato in Marina perché “mi facevano male i piedi”.Al che lui mi gridò qualche insulto e mi urlò di andarmene ai Mezzi Navali! (21) Il Capitano Bardelli seppe sempre comunicare ai giovani Ufficiali e Marò, con poche, dirette parole, il fine ultimo del loro impegno, e ad essere la loro guida con il suo esempio personale, riuscendo così a elevare lo spirito di corpo e la tenuta morale dell’intera unità, che rimarrà salda, alla prova del fuoco, nonostante il sommario addestramento. Sottotenente Mario Cinti: Alla vigilia della partenza per il fronte, il Comandante del Barbarigo, Umberto Bardelli, che per noi era già una bandiera, riunì tutti gli Ufficiali a un gran rapporto per dire in sostanza: “So che il Battaglione non è perfettamente addestrato, ma questo, ora, non è molto importante. In questo momento l’Italia ha bisogno di mille uomini disposti a morire con eleganza. Chi non se la sente non è obbligato a venire”. (22) Marò Marcello Meleagri: Come ci disse il Comandante Bardelli: “Noi siamo venuti a Roma per dimostrare a nemici ed amici che gli italiani sanno ancora combattere e morire per il loro paese”. (23) Marò Mario Tedeschi: Tutti quelli con cui ho parlato di lui hanno messo in rilievo la sua grande personalità, più forte anche di quella di Borghese! (24) Mentre a La Spezia, il 19 febbraio 1944, davanti al Battaglione schierato, prendendo la parola dopo il Comandante Borghese, il Capitano di Corvetta Bardelli pronunciò una frase che colpì certamente tutti gli effettivi del Barbarigo: Ricordate che da questo momento siete morti! Morti per il popolo che non vi vorrà riconoscere, morti per le ragazze che non vi guarderanno, morti per i vostri che non vi riconosceranno! (25) Nell’aprile 1944, ricordando i Caduti del suo Battaglione, Bardelli aggiungerà: Ma nessuno di voi è morto finché noi non morremo tutti. E fino a quando sarà in piedi uno del Barbarigo lo sarete anche voi. (26)

Continua la prossima settimana.

martedì 22 gennaio 2008

Ritorno a Tarnova, 20-21 gennaio

Posto con piacere una parte del resoconto fatto dall'amico Ermes sulle commemorazioni a Gorizia organizzate dall'Ass.Comb. Xa MAS:



Eccoci qua a narrare la 2 giorni Goriziana, e' sabato mattina e come da programma ci dirigiamo verso Tarnova, e' sempre un'emozione rivivere quei posti con chi nel 44/45 ha dato prova di coraggio e fermezza.Qui siamo a Tarnova e l'aspirante Guardiamarina Minelli ci racconta quei giorni.

Il Sindaco riceve il nutrito gruppo di partecipanti e rimarca più volte il Sacrificio di quegli eroici ragazzi, pronti alla morte pur di fermare le truppe titine. Dopo anni di boicottaggio della precedente giunta, finalmente le istituzioni rendono il giusto omaggio ai veterani.











Foto su: http://xflottigliamas.forumfree.net/?t=24406558

Posto inoltre, tratto dal libro "Sotto tre bandiere", del Gen. Farotti, un brano significativo che analizza dal pdv storico-militare i prodromi della battaglia di Tarnova, fuori dagli schemi delle ricostruzioni "sul tamburo":

I giorni non trascorrevano mai, ci sentivamo sempre più oppressi da quell’inazione; finalmente l’ordine di marcia per il “Barbarigo”: andare a presidiare Tarnova, in una mattina di sole che ci ridiede il buonumore. Neve dappertutto, il paese era composto da poche case collocate su un tratto pianeggiante di modesta estensione, circondato da boschi e nella parte più aperta difeso, si fa per dire, da una serie di postazioni sopraelevate e coperte ma non inquadrate in un organico piano dei fuochi e malamente protette da un reticolato, molto basso e malandato. A mio giudizio, che riferii al Comandante di Battaglione, rappresentavano una vera trappola per coloro che avrebbero dovuto presidiarle, anziché un efficiente posizione di resistenza. Il compito assegnatoci era di perlustrare la zona circostante, a largo raggio, per controllare se le informazioni di un imminente attacco, pervenute al Comando tedesco, fossero attendibili. Nei giorni seguenti effettuammo puntate in tutte le direzioni con scarsi risultati: intercettammo, sì, qualche gruppo isolato in movimento che, purtroppo, venne annientato senza prendere qualche prigioniero da interrogare. Conclusione: arrivò l’otto gennaio, giorno previsto per l’attacco, senza che nulla accadesse. Le informazioni vennero ritenute infondate e l’apparato difensivo smontato. I reparti rientrarono a Gorizia ed il “Barbarigo”, per maggiore sicurezza, effettuò una puntata ricognitiva su Chiapovano ma con esito ancora una volta negativo. A presidiare Tarnova restò il più debole dei nostri reparti, il Battaglione “Fulmine”, con gli organici ridotti ad un paio di striminzite Compagnie Fucilieri, con pochissime armi automatiche di Reparto e senza mortai da 81. Non so da chi sia stato commesso questo grave errore di valutazione, certo è che fu pagato poi duramente, proprio dall’incolpevole “Fulmine”. Se il dispositivo iniziale fosse rimasto in posto ancora qualche giorno (due Battaglioni ed una Batteria da 75/13) l’attacco slavo avrebbe trovato ad accoglierlo forze adeguate e con un armamento tale da stroncarlo in sul nascere e soprattutto, mantenendo il possesso della rotabile, si sarebbe potuto far affluire rinforzi ed impedito l’accerchiamento e l’annientamento della guarnigione. Brillante invece l’operazione condotta dal Comando partigiano che in brevissimo tempo riuscì a concentrare su Tarnova più di 2.000 uomini, con armi pesanti, senza far nulla trapelare ed a minare la rotabile di accesso, dominandola con centri di fuoco disposti perfino sul San Gabriele, pilastro incombente su Gorizia e chiave di volta della sua difesa. Inoltre, la notizia dell’attacco arrivò in ritardo, a causa della penuria e della scarsa efficienza dei mezzi di trasmissione in dotazione. La reazione del comando tedesco fu lenta ed impacciata; soltanto il giorno 19 il Comando della Xª ottenne il via libera per correre in soccorso del “Fulmine” o meglio di quello che restava del Battaglione.

Tratto da:

http://associazioneitalia.blogspot.com/2007/12/sotto-tre-bandiere.html

http://associazioneitalia.blogspot.com/2008/01/ritorno-tarnova-20-21-gennaio.html

venerdì 18 gennaio 2008

Il Campo della Memoria




Foto Copyright Ass. Campo della Memoria

Ci si avvicina alle commemorazioni dello sbarco Alleato ad Anzio-Nettuno; ricordiamo allora, con le parole di uno dei fondatori, la nascita del Campo dellla Memoria, cimitero di guerra, in carico a Onorcaduti (onoranze funebri dell'Esercito Italiano), del Btg. Barbarigo (Xa MAS-RSI):

STORIA DEL "CAMPO DELLA MEMORIA" E DELLA SUA TRASFORMAZIONE IN CIMITERO DI GUERRA

Nel 1987 l’Associazione Combattenti Xa Flottiglia M.A.S. della R.S.I. convocò a Roma i suoi iscritti per un’Assemblea Nazionale e furono visitati i luoghi ove nel 1944, sulla testa di ponte di Anzio e Nettuno, il Btg. “Barbarigo” con il Gr. Art. “S. Giorgio”, a fianco dell’alleato tedesco, dei paracadutisti del Btg. “Nembo”,del Btg. “Degli Oddi”, del Gruppo Aerosiluranti “Faggioni” e dei mezzi d’assalto della risorta Marina Nazionale Repubblicana, aveva contrastato il passo, per ben tre mesi, alle truppe anglo-americane colà sbarcate. I reduci del Btg. ebbero così modo di costatare che, all’infuori di una semplice stele seminascosta in località Campoverde, null’altro testimoniava la loro presenza su quel fronte e, soprattutto, tra i tanti cimiteri di guerra, mancava quello dei loro Caduti. Nell’ottobre dello stesso anno, a Lerici, durante l’annuale raduno del “Barbarigo”, fu deciso di porre fine a quella situazione, indicando con la locuzione “le parole e la pietra” i mezzi occorrenti per risanarla. Fu, quindi, dato incarico al senatore Mario Tedeschi, giornalista e direttore della rivista “Il Borghese”, di scrivere un libro sulle vicende belliche del Btg., da lui vissute in prima persona quale Serg. A.U. (che, con il titolo “Si bella e perduta”, vide la luce nel 1993 nel giorno in cui l’autore saliva anch’egli al Cielo de-gli Eroi) ed all’architetto Sandro Tognoloni, ufficiale decorato M.O.V.M. alla… memoria proprio sul quel fronte, di progettare un monumento-sacrario da dedicare ai Caduti. Per la sua realizzazione e la soluzione di tutti i problemi ad essa connessi, il 4 dicembre 1989, a Firenze, fu costituita davanti al notaio Dr.ssaVilma Cerulli, fra i reduci del “Barbarigo”: Baldini Luigi, Burò Gianfranco, Duelli Raffaella, Farotti Giorgio, Fusco Mario, Olivotti Franco, Posio Paolo, Posio Vannozzo, Pieri Luciano, Scozzari Francesco, Tognoloni Alessandro e Sannucci Mario del “Lupo” [i pochi sopravissuti tra i fondatori, oggi aderiscono all'Ass. Comb. Xa MAS con sede a Verona, Presidente l'Avv. Bartolo Gallitto, NdC] , un’associazione apolitica e priva di lucro denominata “Campo della Memoria”, come il progettato complesso monumentale ed a presiederla fu eletto il Gen.D. Giorgio Farotti che, per determinati tratti di personalità posseduti e per l’elevato grado rivestito, fu ritenuto la persona più qualificata, in quanto autorevole ed ascoltato interlocutore, nei rapporti con le istituzioni civili ma soprattutto con quelle militari, per il conseguimento degli scopi statutari. Il gruppo dei residenti a Roma che aveva ricevuto l’incarico della ricerca del terreno, all’inizio del 1990 comunicò di averlo trovato ed alla fine di gennaio fu redatto l’atto d’acquisto di un’area di 3.600 mq., inserita tra il cimitero di guerra americano e quello tedesco, a breve distanza da quello inglese, quasi a ristabilire lo schieramento dei reparti allora contrapposti su quel fronte. Nei primi mesi del 1990, in attesa dell’autorizzazione all’esecuzione del progetto presentato all’ufficio tecnico del comune di Nettuno, furono iniziati i lavori di bonifica, riempimento e livellamento del terreno che gli abitanti del luogo ave-vano adoperato come discarica abusiva. All’improvviso, nel mese di agosto, il Sindaco, anziché concedere le autorizzazioni richieste, con una ordinanza ingiunse la sospensione dei lavori da lui ritenuti abusivi ed il ripristino dello stato “quo ante”!Ne nacque un caso politico, la questione divenne oggetto perfino d’interpellanze parlamentari e di una accesa campagna di stampa pro e contro, secondo le strumentalizzazioni di parte, specialmente dopo la comparsa sul “Borghese”, a firma del suo Direttore, di un veemente articolo intitolato “il difensore della discarica” che stigmatizzò, ridicolizzandolo, il comportamento del Sindaco. Per l’Associazione iniziò un periodo costellato di difficoltà d’ogni genere, tutte superate per la ferma determinazione di membri del suo Direttivo, degli iscritti e dei sostenitori. Nel marzo del 1991, concessa l’autorizzazione all’esecuzione del progetto, ebbe luogo la cerimonia della posa della prima pietra e, dopo altri due anni di tribolazioni, tra cui anche un contenzioso con la ditta appaltatrice dei lavori, con un rito austero, apolitico e prettamente militare, la consacrazione dell’opera nelle sue linee essenziali: un grande prato verde con incastonata al centro la croce di Sant’Andrea, scelta appositamente per riunire nello stesso simbolo i valori delle Fede Cristiana e quelli della Decima. Fu dedicata non solo ai marò del “Barbarigo” caduti per la difesa di Roma ma coralmente a tutti i soldati della R.S.I. immolatisi nel secondo conflitto mondiale. Era questo il solo obiettivo perseguibile, considerate le ostilità ed i condizionamenti politici; raggiuntolo, l’Associazione cominciò ad esaminare la possibilità di trasformare il Campo in cimitero di guerra, allo scopo, sia di assicurargli, in futuro, una sopravvivenza garantita dallo Stato anche dopo la nostra scomparsa, sia di porre fine all’assurda situazione per cui tutti i Caduti degli eserciti coinvolti nella battaglia della testa di ponte di Anzio e Nettuno avevano avuto onora-ta sepoltura in monumentali cimiteri di guerra sorti su suoli che visto-se targhe, retoricamente, rammentano al visitatore essere stati donati dal popolo italiano. Solo i morti della R.S.I. erano assenti in quell’ideale adunata perché “volutamente” esclusi ed ignorati, come se non fossero mai esistiti. Altrimenti, in contrasto con la vulgata della “liberazione”, si sarebbe dovuto riconoscere che quei “ragazzi”, non ancora ventenni, avevano offerto volontariamente la loro vita per la difesa di Roma e del suolo della Patria, invaso, calpestato e distrutto dalle armate anglo-americane. Per un certo periodo, quindi, compii va-ri e vani tentativi non conoscendo l‘iter burocratico da seguire e quali fossero i Ministeri competenti a concedere la traslazione di salme da un cimitero ad un luogo non cimiteriale e, soprattutto, ignorando l’esistenza della Legge 204 del 9 gennaio 1951, chiave risolutiva del problema: essa, infatti, sancisce che il compito di raccogliere e sistemare le salme degli appartamenti alle FF.AA. della R.S.I. deceduti per cause di guerra procedendo, ove occorra anche ad espropri, spetta al Commissariato per le Onoranze ai Caduti in Guerra del Ministero del-la Difesa.Venutone a conoscenza, mi rivolsi all’Ente sopraccitato facendo presente che l’Associazione si era sostituita allo Stato immemore per co-struire, a proprie spese, un Sacrario che offriva gratuitamente, a patto che vi fossero inumati quei Caduti che, solo per l’umana pietà dei sopravvissuti e l’abnegazione dell’Ausiliaria Scelta Raffaella Duelli, erano stati raccolti sul campo di battaglia e provvisoriamente, con incerto futuro, tumulati in una tomba privata, nel cimitero del Verano di Roma. Ad onor del vero, il Commissario Generale Benito Gavassa, con cui trattenevo rapporti improntati alla massima reciproca stima, recepì l’istanza da me presentatagli, dichiarando che per lui i Caduti in guerra erano tutti uguali e, facendola propria, le diede una veste ufficiale ed autorevole. Non così agirono gli altri Ministeri interpellati: quello della Sanità, ad esempio, impiegò ben due anni per dichiarare che non occorrevano autorizzazioni in quanto non si trattava più di salme, dato il tempo trascorso, ma di resti mineralizzati, non soggetti alle leggi sanitarie! Nel 1977, quando tutte le eccezioni sembravano esaurite, Onor Caduti emanò un decreto d’esproprio del “Campo della Memoria”, ritenendo che, acquisitone il possesso, avrebbe potuto disporre a piacimento e tacitare qualunque opposizione,a norma della già citata Legge 204. Il documento fu inoltrato al Prefetto di Roma per la ratifica e ecco rispuntare il Sindaco di Nettuno che, informato della decisione di effettuare la traslazione, a cerimonia già fissata e dopo che le prime sette cassette dei resti di Soldati Ignoti, per le quali non occorreva il consenso dei familiari richiesto dalla legge, erano già state esumate dal Verano, pose il suo veto ed il Prefetto di Roma, pur non avendone fa-coltà, trattenne l’atto di esproprio da noi già firmato, spiazzando così Onor Caduti che, nell’attesa della soluzione del problema, le dovette depositare provvisoriamente alle Fosse Ardeatine…! Il Sindaco di Nettuno volle, poi, infierire emanando un ordine di de-molizione di tutte le opere del Sacrario, con la capziosa accusa di violazione del regolamento edilizio del comune, risultata poi non riferibile al caso in oggetto.L’ordinanza fu bloccata da un ricorso dell’Associazione al T.A.R. del Lazio che decretò l’immediata sospensiva per la palese inconsistenza dell’accusa ed il Sindaco, per faide interne al suo partito, fu costretto alle dimissioni, la giunta sciolta ed il comune commissariato, in attesa delle elezioni amministrative. Trascorse così un altro anno prima dell’insediamento della nuova amministrazione ed il sindaco neo eletto, per risolvere il problema dell’ordinanza demolitrice senza compromettersi, concesse la sanatoria prevista dalla legge sugli abusi edilizi comportante il pagamento di una penale…! (i politici sono sempre tali a qualunque partito essi appartengano).Per non perdere altro tempo in ricorsi, decisi di accettare, anche per-ché il Sindaco, nel frattempo, aveva inviato una lettera al Prefetto di Roma, nella quale gli comunicava l’approvazione, da parte dell’intera Giunta e senza riserve, della trasformazione del “Campo della Memoria” in Cimitero di Guerra del Marò del Btg. “Barbarigo” e, per sottolineare la decisione, si era recato in forma ufficiale a deporre una corona sull’ipogeo destinato a diventare Ossario-Sacrario.Il decreto d’esproprio fu quindi ratificato dal Prefetto (settembre 1999) e nell’atto di cessione della proprietà al Ministero della Difesa chiesi ed ottenni che fossero incluse alcune condizioni, ritenute da me irrinunciabili: 1. completamento delle opere necessarie all’accoglimento di tutti i Caduti sepolti al Verano, previste dal progetto dell’architetto Tognoloni.2. costruzione di un altare. 3. messa a sito dei cippi con i nomi dei Caduti. 4. impegno formale a: tumulare nel campo soltanto marò della Xa caduti sulla testa di ponte di Anzio e Nettuno; conservare intatte nel tempo le strutture del Sacrario nel loro assetto e destinazione; diritto dell’Associazione di accedervi per celebrare con cerimonie eventi legati alla storia della Xa MAS e sistemarvi targhe e cippi commemorativi. Dopo dieci anni di difficoltà, apparentemente burocratiche ma essenzialmente ideologiche ed espressione di faziosità politica, soltanto il 20 giugno del 2000 è stato possibile arrivare alla tumulazione, in forma strettamente privata ed alla presenza di pochi commilitoni superstiti, delle prime sette cassette di resti mineralizzati nel Campo e sulla lastra del sepolcro è stata incisa, non senza discussioni e contrasti, la seguente epigrafe, da me ideata ed imposta:

SOLDATI IGNOTI
EROI SENZA MEDAGLIA
VITE OFFERTE ALLA PATRIA PER LA DIFESA DI ROMA
ANZIO-NETTUNO 1944

Per una serie di disguidi e circostanze impreviste, la traslazione era avvenuta in modo quasi clandestino ed io espressi al nuovo Comm. Generale Lusa, succeduto all’amico Gavassa, tutta la mia indignazione, nel dover constatare che le salme dei “miei marò”, caduti in un disperato tentativo di difesa della Patria, mi erano state consegnate come merce ordinaria al mercato, proprio dall’Ente istituzionalizzato allo scopo di rendere quegli onori loro dovuti, non soltanto perché sanciti da leggi o regolamenti, ma perché appartenenti da millenni ai costumi dei Popoli. Nel 2003 stipulai con il Comune una convenzione biennale rinnovabile per la custodia e la manutenzione ordinaria dell’opera ed ottenni dal Ministero della Difesa che fossero traslate in essa, classificata Cimitero di Guerra, le spoglie dei Caduti sepolti al Verano inclusa quella del Cap. Corv. Umberto Bardelli per noi molto importante, in quanto Comandante del Battaglione “Barbarigo” sul fronte di Nettuno e decorato di M.O.V.M. alla memoria. Il progetto originario dei lavori necessari, per motivi di contenimento della spesa, dovette subire alcune modifiche, la sua realizzazione fu rinviata di un anno, ma l’intervallo permise ad Onor Caduti di adempiere ai dettami della Legge 204 per ottenere l’assenso delle famiglie, rintracciate tramite l’arma dei Carabinieri; quindici di esse preferirono riavere le salme al loro domicilio ed al Verano ne rimasero sessantacinque. Nel mese di luglio del 2004, con una spesa di 150.000 € stanziati da Onoranze ai Caduti, sono stati costruiti, non più sopra, ma lateralmente alla gradinata centrale, due blocchi di 42 loculi ciascuno, con di fronte un altare in pietra e collocate le 8 targhe preparate dall’Associazione in memoria delle gesta del Battaglione e dei suoi Eroi. Infine, gli 84 cippi che, nell’originario progetto dovevano recare, ognuno, il nome d’un Caduto sepolto nel campo inciso, invece, sul frontone di ciascun loculo, sono stati messi a sito sul perimetro del prato, con i nominativi dei 481 caduti immolatisi sugli altri fronti, ove il battaglione fu inviato a combattere: scritti sul verde prato appartengono definitivamente alla storia d’Italia, “memento” e guida per le generazioni future. Il giorno 16 giugno 2005, con una solenne cerimonia militare da me richiesta e non solo accordata ma organizzata e diretta personalmente dal Gen. C.A. CC. Bruno Scandone, austera ma molto commovente, cui hanno presenziato i reduci provenienti da ogni località d’Italia, tra cui la nostra Medaglia d’Oro al Valor Militare Gm. Tognoloni [purtroppo deceduto nel luglio 2007, NdC], Autorità civili, militari, religiose e soprattutto numerosissimi giovani, sono state traslate dal Verano le salme di sessantacinque Marò del Btg.”Barbarigo”. E, senza tema di contestazioni, ascrivo merito esclusivo dell’Associazione “Campo della Memoria”, l’aver ottenuto che, per la prima volta dalla fine del Secondo Conflitto Mondiale, un plotone di fanti dell’Esercito Italiano sul “presentat-arm” e le note struggenti del silenzio abbiano reso Loro l’estremo saluto e sia stata ad essi riconosciuta, in modo esplicito ed ufficiale, la medesima dignità di “SOLDATO” di ogni altro combattente degli eserciti che nel 1944 si fronteggiarono sulla testa di ponte di Anzio e Nettuno, qualifica che, ancor oggi, viene negata ai sopravvissuti.A ricordo dello storico evento ho fatto apporre una targa recante le parole alate e soffuse di altissima poesia espresse, per tutti noi, da Mario Fusco, Marò della IV Cp., vate del Btg. “Barbarigo” e da me completate con una orgogliosa affermazione di fierezza per il successo con-seguito, dopo tre lustri di contese assurde e vergognose perché tendenti a discriminare dei Morti per la Patria:

IAM VICTI VICIMUS!

Tuttavia, a mio parere, affinché il “Campo” compendi in tutte le sue vicende la “storia” del Battaglione, all’Associazione restano ancora due compiti da assolvere: 1. portare nel campo le spoglie del Gm. (S.Ten. Alp.) Alberto Piccoli M.A.V.M. alla memoria, simbolo dell’eroica difesa di Gorizia, effettuata dai reparti della Decima nell’inverno 1944/1945 e che assicurò alla “Città Santa” la continuità della sovranità italiana; 2. reperire due ancore autentiche di mezzi navali d’assalto (o comunque da guerra) da sistemare sul lato interno di ciascun blocco di loculi, per rammentare l’appartenenza di quei Caduti alla Marina da Guerra della R.S.I. ed in particolare alla Decima. Nota: per la realizzazione del primo progetto (a) sono in attesa di ottenere la necessaria autorizzazione e poter aprire la sottoscrizione dei fondi occorrenti, dato ch’essa non rientra nei compiti istituzionali di Onor Caduti; per quella del secondo (b) ho già avviata la pratica presso gli Uffici competenti ed, inoltre, sto esaminando con il Commissario Generale quali altre salme debbano essere traslate nei loculi rimasti disponibili. Infine, per evitare postume appropriazioni indebite, tra l’altro già tentate, concludo sottolineando che, in questa Italia delle bustarelle e delle sovvenzioni facili, il “Campo della Memoria” è stato creato senza alcun contributo pubblico o politico per evitare, appunto, speculazioni che mai permetteremo a chicchessia. L’abbiamo pagato di tasca nostra solo noi della Decima, cominciando per primi, come sempre, noi vecchi del Btg. “Barbarigo”, perché così c’è sembrato giusto e, quando è stato necessario, abbiamo fatto ricorso anche alle cambiali! D’ora in poi in quel luogo, onusto di sacre rimembranze perché vi si combatté un’epica battaglia della 2a Guerra Mondiale, chiunque lo vorrà potrà fermarsi un attimo per ricordare tutti coloro che scelsero la “parte sbagliata”, convinti di adempiere al loro dovere d’italiani. Noi, gli “involontari” sopravvissuti, senza nostalgie ma con orgoglio, ogni tanto lì ci ritroveremo, rallegrandoci con noi stessi per aver saputo cogliere un momento in cui, nell’intimo di ognuno, la Patria era ancora una realtà viva e determinante.

Il Presidente dell’Associazione
Gen.D. Farotti Giorgio.
Testo Copyright 2007 Ass. Campo della Memoria-Ass. ITALIA

L'Associazione Campo della Memoria è contattabile presso l'Ausiliaria Scelta Raffaella Duelli:

Associazione Campo della Memoria
Viale Gorgia di Leontini 260
00124 Roma
Tel. 06 50912187

Oppure telefonando al Sig. Alberto Indri:

Tel. 06 3330318

Testo pubblicato in:

http://associazioneitalia.blogspot.com/2007/12/il-campo-della-memoria.html



giovedì 17 gennaio 2008

La 4a Compagnia Mortai del Barbarigo



I marò della 4a Compagnia Mortai nel Canavese, estate 1944. Notare le divise estive, con le mostrine pentagonali tagliate a seguire il colletto (foto De Zerbi).




I marò della 4a Compagnia Mortai nel Goriziano, inverno 1944/1945. Notare le tenute mimetiche, il veterano Sottufficiale al centro, e la giovane età di molti marò (foto De Zerbi).

La 4a Compagnia era basata su un Plotone Comando, due Plotoni Mortai con tre mortai da 81 mm ciascuno e un Plotone Cannoni con due controcarro da 47/32, questi ultimi di limitata efficienza a causa della mancanza dei congegni di mira e delle poche munizioni disponibili.
Il comandante era il Tenente Pierluigi Tajana, e il comandante in seconda era il Tenente Alberto Piccoli; entrambi provenivano dagli Alpini.

Il mortaio da 81 mm in dotazione al “Barbarigo” era il modello 35, constante di tre parti: bocca da fuoco (20.4 chili), affusto a bipede (18 chili), piastra di appoggio (20 chili). Aveva sette cariche di lancio con il proietto normale (pesante 3.26 chili, dei quali 0.54 di esplosivo) e cinque cariche di lancio con il proietto a grande capacità (6.86 chili, dei quali 2 di esplosivo).
La gittata del proietto normale andava da un minimo di 150 metri ad un massimo di 3.100 metri, mentre la gittata massima del proietto a grande capacità era di solo 1.200 metri. D’altro canto il raggio di efficacia delle schegge del proietto a grande capacità era di ben 100-200 metri contro i 30-40 metri di quello normale. Le schegge del proiettile normale avevano una dispersione orizzontale notevole, molto valida nell’uso antiuomo.
Il rateo di fuoco era il seguente: di aggiustamento 18 colpi al minuto, di efficacia 30-35 colpi al minuto, ma nella pratica non si superavano i 10 colpi al minuto.

venerdì 11 gennaio 2008

Nuovo! Una vita come tante altre





Una vita come tante altre, di Carlo Giacomelli

Carlo Giacomelli, nato nel 1911, iniziò il suo lungo servizio sotto le armi quale Allievo Ufficiale nell’Artiglieria da montagna, quindi nella 17° Batteria “Tira e Tasi” della Julia, per poi essere inviato in Somalia e in Etiopia, in appoggio alle Camicie Nere impegnate contro i ribelli. Dopo un breve intervallo di pace, Giacomelli combatterà in Francia e nella Campagna di Grecia-Albania, dove sarà testimone del coraggio di molti dei nostri soldati, nonostante le gravi carenze organizzative e di Leadership degli Alti Comandi del Regio Esercito, partecipando poi alla repressione della guerriglia in Albania. Dopo l’8 settembre 1943 sarà spinto nuovamente nella lotta, al fianco dei suoi colleghi nel Gruppo Bergamo della Divisione Alpina Monterosa dell’Esercito Nazionale Repubblicano. Il Bergamo sarà schierato contro gli Alleati in Garfagnana, e parteciperà alla riuscita offensiva di Natale, l’operazione Wintergewitter, contro la 92nd Infantry Division “Buffalo”. Giacomelli seguirà quindi le sorti della Monterosa durante il ripiegamento nell’aprile 1945 in seguito all’offensiva Alleata.

In appendice numerose fotografie inedite della Monterosa in Garfagnana, alcune foto odierne delle zone interessate dai combattimenti, una scheda storica, con fotografie, della “Buffalo”, testimonianze e resoconti sull’operazione Wintergewitter, e tavole a colori sulle uniformi della Monterosa.

F.to 14x21, 162 pagine, 47 foto b/n, 4 tavole a colori. 20,00 Euro.

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Nuovo: Passo Uarieu





Passo Uarieu di Pierluigi Romeo di Colloredo

Nel gennaio 1936, la Divisione 28 Ottobre si spinse sino a Passo Uarieu.
I guerrieri abissini, mal valutando la possibilità di resistenza della difesa di Passo Uarieu, si gettarono in massa contro le posizioni difensive italiane, per travolgerle e lanciarsi sulla strada di Hauzien. Asserragliati, i legionari della 28 Ottobre con i resti di due Battaglioni del Console Generale Diamanti resistono eroicamente, e per tre giorni, privi di acqua e di viveri, sbarrano il Passo. Alle ore 12.30 del 24 l’arrivo del XXIV Battaglione eritreo induce i legionari ad una sortita ed il nemico fugge per non cadere tra due fuochi. Il Gruppo Camicie Nere del Console Generale Diamanti e la 28 Ottobre vengono citati dal Duce all’Ordine del Giorno della Nazione.

In questo libro, la difesa del Passo Uarieu viene posta nel contesto della Campagna d’Etiopia e della battaglia del Tembien, e viene presentata l’organizzazione militare delle unità italiane e etiopiche. Un capitolo tratta inoltre la questione relativa all’impiego dei gas da parte dell’aeronautica italiana nei combattimenti in Etiopia. In appendice, oltre ad alcuni resoconti della battaglia, sono elencate le decorazioni al Valor Militare concesse e le cantate dei Legionari.

F.to 14x21, 126 pag., alcune illustrazioni in b/n. Euro 15,00.

Immagini del Uorc Amba e del Cimitero Aldo Lusardi:

http://dgianni.blogspot.com/2007/11/wer-amba-la-bandiera-werk-amba-le.html

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giovedì 10 gennaio 2008

Nuovo! Il Bocia va alla guerra






IL BOCIA VA ALLA GUERRA, di Pierluigi Tajana

Queste sono le memorie di Pierluigi Tajana, artigliere da montagna in Grecia-Albania e poi comandante della 4a Compagnia Mortai del Battaglione Barbarigo della Decima Flottiglia MAS. Le vicende di Tajana, da lui narrate con grande brio, ci trasportano dalla Scuola Allievi Ufficiali di Complemento di Artiglieria Alpina di Bra, dove l’anticonformista Tajana muove i primi passi tra le anacronistiche regole del Regio Esercito, alla Grecia-Albania, descrivendo causticamente la madornale incompetenza di molti Ufficiali italiani, ed è testimone della tragica epopea dei nostri fanti e artiglieri. Rientrato in Italia, in seguito allo sfascio del Regio Esercito all’8 settembre 1943 si arruolerà nel Battaglione Barbarigo della Decima MAS, comandandone la Compagnia Mortai nel Goriziano nel 1944/1945, e nei disperati combattimenti contro gli Alleati sul fronte Sud nell’aprile 1945. Dopo la difficile ritirata oltre il Po, e la resa con l’onore delle armi del Barbarigo a Padova, sarà inviato al POW Camp 211 in Algeria, dove, tra le altre vicende che lo vedranno protagonista, riceverà notizia del cosiddetto “massacro di Sétif”, una serie di brutali rappresaglie eseguite dall’esercito francese contro la popolazione civile algerina nel maggio 1945, e avrà modo di conoscere il Maresciallo Graziani, dandone un vivido ritratto.
In appendice, alcune testimonianze sulla battaglia del monte San Gabriele e la morte del tenente Piccoli, MAVM e vice comandante della Compagnia Mortai del Barbarigo, numerose fotografie inedite di proprietà dell’autore e due tavole a colori sulle uniformi e le armi della Compagnia Mortai.
Brossura, F.to 14x21, pag. 222, 65 foto b/n, 2 tavole a colori.
Euro 22,00

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NUOVO! Il mare nel bosco (ristampa)






IL MARE NEL BOSCO, di Luigi Del Bono, finalmente ristampato!

Le memorie di Luigi Del Bono, con il titolo Il mare nel bosco, furono pubblicate nel 1960 a Roma da Giovanni Volpe Editore. Esse sono interessanti, oltre che per le vicende storiche riportate, per l’elevato valore letterario, che le distingue dalla massa delle memorie di guerra, come riconobbe anche lo storico e giornalista Franco Bandini. Luigi Del Bono, infatti, oltre che medico in pace e in guerra, giornalista e sportivo, fu anche romanziere di un certo successo, vincendo diversi premi nazionali per la narrativa, tra i quali il “Renzo Pezzani” di Parma con il racconto L’ultimo ostacolo. Scrivendo le sue memorie in forma di romanzo, Del Bono fu costretto, per mantenere il fluire della narrazione, a condensare alcuni avvenimenti bellici dei quali fu protagonista e testimone, e a preferire la notazione delle sue emozioni e pensieri all’impersonale descrizione dei fatti d’arme. Inoltre, per ragioni di riservatezza, molti dei suoi commilitoni e superiori furono identificati solo con le iniziali del nome o del cognome, e, nei capitoli concernenti il ripiegamento verso il nord del personale della Base Ovest nell’aprile 1945, le località attraversate dalle forze tedesche e italiane sono state indicate da nomi di fantasia. In questa edizione, abbiamo pensato di fare cosa gradita al lettore che voglia avvicinarsi a queste memorie vagliandole dal punto di vista storico, cercando di porle maggiormente nel contesto degli avvenimenti bellici narrati. Per fare questo senza stravolgere gli intendimenti e la ricercatezza nello scrivere dell’autore, abbiamo limitato i nostri interventi allo svelare il nome dei personaggi citati solo con le loro iniziali da Del Bono, e nel presentare al lettore i dettagli delle missioni e degli avvenimenti storici narrati dall’autore grazie a delle note. Al testo originale delle memorie, così integrato e annotato, abbiamo fatto seguire un’appendice iconografica, nella quale sono incluse le fotografie delle uniformi donate dall’autore al Museo dell’Arsenale di Venezia.

Brossura, F.to 14x21, 138 pagine, 6 tavole a colori, 43 foto b/n.

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mercoledì 9 gennaio 2008

Ricordo del Tenente Alberto Piccoli, Btg. Barbarigo




Foto: Il Tenente Piccoli (a sinistra) con il Tenente Farotti.
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Ricordo del Tenente Alberto Piccoli, 4a Compagnia mortai del Btg. Barbarigo.
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La battaglia del Monte San Gabriele (gennaio 1945)
e la morte del Tenente Alberto Piccoli
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Dal libro Sotto tre bandiere, del Gen. Giorgio Farotti.

Durante la notte un Battaglione sloveno fu mandato all’attacco per riprendere la cima perduta [del Monte San Gabriele, NdC] al mattino ed aprirsi la strada verso Gorizia. Gli attaccanti furono avvistati per puro caso (un Marò era uscito dalla postazione per orinare) e favoriti dal buio, da una leggera nebbia e dalla neve che tutto ovattava, erano ormai arrivati a ridosso delle nostre postazioni. Scoperti, cercarono di far credere di essere tedeschi ma il lancio di un razzo il cui colore non coincideva con gli accordi di riconoscimento e soprattutto la parlata slava, tolse ogni dubbio e le nostre armi aprirono il fuoco [una delle prime armi a sparare fu una Breda 37 della Squadra Betti, azionata dal Marò Mitragliere Giulio Ronchi, seguita subito dalle altre "pesanti", NdC] . Fortuna volle che le prime raffiche di una nostra mitragliatrice centrassero in pieno il Gruppo di Comando che guidava l’attacco, uccidendo il Comandante, il suo Vice, il Commissario politico ed altri cinque graduati in sottordine, rendendo acefalo il reparto attaccante e quindi, privo da quel momento di ordini adeguati alla situazione. Ciononostante il fuoco nemico, molto nutrito, avvolse tutto il nostro schieramento, arrivando a colpire, sul fianco scoperto verso il San Daniele, la Compagnia Mortai da 81. Nel tentativo di portare un’arma al coperto morì il Sottocapo Chiesa, abbracciato al mortaio, mentre il Tenente Piccoli cadde eroicamente mentre guidava il Reparto al contrattacco. Il combattimento si protrasse fino alle prime luci dell’alba, quando gli avversari si ritirarono portandosi via anche i caduti, come era loro abitudine. Restarono solo quelli dello staff che furono trovati allineati nell’ordine di marcia a pochi metri dalla nostra postazione. Appena sorse il sole, la 4ª Compagnia Mortai, unica ad avere subito perdite, poté vendicare i suoi caduti, usando i dati di tiro preparati dal loro eroico Tenente, per centrare con ripetute salve i partigiani in movimento di ritirata nella sottostante pianura innevata e quindi ottimo e facile bersaglio. Intanto a Tarnova il “Fulmine”, in un rapporto di forze di uno contro dieci e con i suoi scarsi mezzi di difesa, aveva eroicamente combattuto sino all’ultimo uomo ed all’ultima cartuccia, soccombendo alla fine solo per l’esaurimento delle munizioni. I pochi superstiti, riuscirono a spezzare l’accerchiamento e, utilizzando lenzuola prese nelle case per mimetizzarsi sulla neve, ad attraversare l’altopiano innevato e scendere incontro alle nostre colonne che ormai, sfondato il fronte nemico, marciavano su Tarnova, rinforzate da reparti tedeschi che, finalmente, avevano deciso di muoversi. Così fallì l’ambizioso piano del IX Korpus, vanificato quasi esclusivamente dall’eroismo dei Marò della Xª che, “Fulmine” in testa, in una situazione, per loro così nuova e difficile, seppero dare prova di grandi virtù guerriere, fino al dono supremo della vita, offerta con slancio e senza esitazione. Entrati in Tarnova, recuperammo le salme dei nostri Caduti che erano state gettate in fosse comuni, assieme ai morti avversari e le riportammo a Gorizia (oggi riposano nel suo Cimitero e noi superstiti, ad ogni anniversario, andiamo a ricordare ai vivi il perché del loro olocausto e le sue conseguenze preziose ai fini della salvaguardia e conservazione all’Italia di quella città). Ai funerali, svolti in forma solenne a Gorizia, parteciparono i familiari del Sottotenente Piccoli che, con l’autovettura del Comandante ed un viaggio notturno pieno di peripezie andai a prendere a Mestre. Successivamente i “suoi” Marò, scorta d’onore, ve lo riportarono ed oggi le sue spoglie riposano nella tomba di famiglia a Vicenza.

Dal diario del Sottocapo A.U. Marco Pittaluga,
4a Compagnia Mortai

[…] L’ho visto il giorno dopo, Chiesa, che era troppo alto e troppo coraggioso, per quella notte tremenda, l’ho rivisto con l’elmetto bucherellato e la barbetta che sembrava troppo nera per un viso così bianco, e non era più il Chiesa allegro e burlone, con cui andavo così d’accordo. Era un essere rigido, ligneo, triste, di cui si diceva con mormorii ammirativi, intorno: “È un eroe, è morto da eroe, avviticchiato al bipede del mortaio, che voleva salvare ad ogni costo…”. Bisogna portare il tubo, ora, giù alla postazione. Ma pesa, e si esita a correre sul terreno scoperto, luccicante, con quell’impaccio; è così confortante il riparo di quel muretto, così incerto, il balzo in avanti. Sono spronato dal disgusto che mi ispira la nostra vigliaccheria collettiva, perché nessuno si muove, ed ho il terrore di dovermi, un giorno, vergognarmi di me stesso. È lo stesso stato d’animo che a Roma mi mise in lista, con pochi, per il ritorno in linea; e che sempre mi ha accompagnato nei momenti più brutti. Così piglio il tubo a mezzo e via, verso la postazione. Cammino a fatica, sprofondando, cadendo, piangendo contro voglia lacrime amare, senza singhiozzi, di rabbia e di disperata impotenza a superare gli ostacoli, a fare più in fretta. Mi raggiunge il Tenente Tajana. Dice poche parole, superandomi, senza fermarsi: “Coraggio, è morto il Tenente Piccoli… bisogna vendicarlo…”. Mi tremano le gambe, ora, non dico niente, ma inciampo più di frequente, perché forse qualcosa mi annebbia gli occhi… Ecco il dolore vero, quello che piega anche la resistenza dei più forti, che fa disperare dell’avvenire, ma che incita anche alle cose più difficili e sublimi… E nella voce del mortaio, che desta gli echi delle valli dove l’alba incomincia ad arrossare la neve, nell’attitudine degli uomini oppressi da un dolore che li ha colpiti in pieno, nella voce che sembra cambiata della mitraglia che ha continuato a sparare, si riconoscono gli accenti di una stanchezza mortale, che non è data da circostanze materiali, ma dalla coscienza della gran perdita subita.


Lettera del Sergente Leonardo Di Bari, Btg. Barbarigo,
al Tenente Colonnello Domenico Piccoli


M.V., 3/2/1945 XXIII
Sig. Piccoli,

I Marò del Barbarigo, commossi, ringraziano e ricambiano gli auguri. Come non abbiamo dimenticato le eroiche gesta del G.M. Alberto Piccoli, tantomeno dimentichiamo il v. gentile pensiero al nostro riguardo. Tutti conoscevamo il Sig. Piccoli vero tipo d’ufficiale repubblicano, pieno di fede e coraggio, ricordo in particolare una sera: mentre si tornava da Slappe, si trattava di 28 Km. a piedi, lui più volte malgrado le proteste dei suoi Marò si caricò sulle spalle il tubo del mortaio e la piastra dello stesso, quindi chi può dimenticare? Ci sarebbero tanti atti di bontà, prove di coraggio e sprezzo del pericolo a suo riguardo, la medaglia d’argento se l’ha ben guadagnata. La sua scomparsa ha causato un vuoto in noi tutti, ma nel nostro cuore è sempre “Presente” affinché ci guida alla sua vendicazione, e difendere il sacro suolo della nostra cara e amata Patria, quella Patria che purtroppo molti italiani non concepiscono il significato, e perché siamo i veri figli di “Mussolini”, che abbiamo giurato per la vita o morte per la nostra causa il Fascismo. Io sono da 8 anni in servizio e non sono stanco, spero fra giorni poter raggiungere il Btg. al fronte. Fervidi auguri da noi tutti e cordiali i Marò del “Barbarigo”.

Italia! Duce! Decima!

Serg. Di Bari Leonardo

Ospedale Militare
Mirano Veneto




Testimonianza del Marò Mario Fusco,
4a Compagnia Mortai


Subito dopo l’attacco laterale [gli slavi attaccarono frontalmente, dove furono bloccati dal fuoco dei mitraglieri delle Breda 37, e sul retro del fianco destro dello schieramento del Barbarigo, ove era posta la Compagnia Mortai, NdC], quando già in cielo c’erano i primi bengala, ripresomi dalla sorpresa mi venne spontaneo sparare alcuni colpi di 91 verso gli attaccanti. Poi mi apparvero una enormità di proiettili traccianti e sembravano proprio tutti diretti contro di me personalmente! Sul momento abbassai la testa nella neve gelata… ed in quel momento mi sentii toccare la spalla. Era Piccoli che, con il suo solito sorriso (e purtroppo, pur restando chinato, piuttosto incurante dei traccianti e non traccianti) mi disse all’orecchio: “Che fai? Ti stai scavando da solo la fossa?”. Infatti, non so come, sulla neve c’era la forma del mio corpo, testa e fucile compresi, come se avessero dovuto fare un calco. “Va bene” − mi disse, sempre sorridendo, mentre intorno a noi c’era il finimondo − “vienimi dietro assieme agli altri che troveremo più giù e che ci aspettano. Sta attento a non rimanere isolato”. Si alzò del tutto e ricominciò a scendere lungo la dorsale, ed io dietro. Ero pur sempre impaurito perché le cose non si stavano svolgendo secondo le mie previsioni (non mi ero mai trovato accerchiato con il mio reparto) ma ero rassicurato dalla presenza di Alberto, che avrei comunque seguito in capo al mondo. Raggiungemmo un gruppo di 20 o 30 marò in fondo all’erta, quasi al pianoro di metà monte, e da lì partimmo − in tre squadre − al contrattacco. Io rimasi sempre insieme a Piccoli. Sino alla cima. Ci conduceva velocemente su per l’erta sul versante est, sparava e ricaricava il suo MAB, si voltava per controllare gli uomini, rincuorava, ordinava qualcosa (per esempio, verso la cima, quando si accorse che le retrovie slave avevano fatto in tempo ad attestarsi nelle vecchie trincee, ci condusse sotto e lanciò e fece lanciare una bomba a mano a testa, dopo aver raccomandato di fare l’ultimo balzo dopo aver sentito lo scoppio delle bombe). Nel frattempo aveva mandato due marò ad avvertire che dalla linea difensiva della sera precedente non sparassero nella nostra direzione (e lo stesso aveva fatto prima di passare − inseguendo gli slavi − al piccolo avamposto); stava sempre avanti a tutti, si alzava per primo per correre avanti. Prima dell’ultimo balzo e delle istruzioni relative, aveva fatto scorrere l’ordine di attestarci nelle trincee al posto degli slavi non appena ci saremmo arrivati, e di continuare il fuoco tenendo la posizione ad ogni costo. Lungo la salita aveva lasciato dei piccoli presidi verso est-sud/est. Sembrava eccitato e, direi quasi, felice: la “prova del fuoco” lo rendeva sicuro di sé, gli dava energia: quando si lanciava avanti − in salita sempre − gridava e noi si gridava con lui “Decima! San Marco! Italia!”… qualcuno parolacce o purtroppo anche qualche “moccolo”. Io gridavo con loro e mi raccomandavo alla Madonna, ma seguivo sempre Alberto, sparavo, facevo tutto quello che vedevo fare a lui o quello che diceva, passavo parola. Dopo aver lanciato anch’io la mia bomba come gli altri, appena vidi a sinistra Alberto alzarsi e correre avanti in salita, feci altrettanto, e gli altri a destra e sinistra, lo stesso. Urlavamo tutti come pazzi e qualcuno sparava anche. Poco prima di entrare urlando anch’io come un pazzo in una delle trincee che erano quasi sulla cima, verso est, vidi in un lampo Alberto cadere mentre correva [in realtà il Tenente Piccoli perse la vita poco dopo, mentre aveva raggiunto le posizioni dei Fucilieri, accanto alla buca del Marò Silvio Lenardon, NdC].

Guardiamarina Alberto Piccoli (S.Ten. Alpini)

Nato il 10 novembre 1922 a Vicenza, dopo aver conseguito la maturità classica si iscrisse alla facoltà di Architettura. Arruolatosi volontario negli Alpini al compimento dei diciotto anni, fu assegnato al 7° Reggimento Alpini. Frequentò le Scuole militari di Belluno, Asiago e Aosta. Sottotenente, fu inviato sul fronte francese. Dopo l’8 settembre 1943, fu inviato alle Scuole di Guerra di Faenza e Alessandria. Si presentò volontario alla Decima MAS, e fu assegnato al Btg. Barbarigo quale vice-comandante della 4a Compagnia Mortai. Nei combattimenti del Battaglione nel Goriziano, Piccoli si distinse durante la battaglia di Chiapovano il 23 dicembre 1944, individuando le sorgenti di fuoco nemiche e facendole battere efficacemente dal fuoco dei suoi mortai. Cadde in azione sul San Gabriele il 20 gennaio 1945, alla testa dei suoi uomini, conducendo un contrattacco. Decorato della Croce di Ferro di Seconda Classe, fu proposto per la concessione sul campo della Medaglia d’Argento al V.M. alla Memoria: purtroppo, il precipitare degli eventi bellici e la conseguente tragica situazione dell’aprile del 1945 non ne consentirono il conferimento definitivo. Segue la motivazione della proposta:

Egli, nella notte del 20 gennaio del 1945, sulla cima innevata del San Gabriele, incitando i suoi marinai con le parole e con l’esempio, resistette per molte ore ai violenti e reiterati attacchi di una intera brigata partigiana slovena. Infine, alla testa del suo reparto ed incurante del pericolo, con rapido movimento, si slanciò sul fianco del nemico, contribuendo validamente a determinarne la ritirata. Colpito al petto nella fase finale del combattimento, spirò con il sorriso sulle labbra ed il suo sangue, arrossando la bianca coltre della vecchia trincea, scavata nella prima guerra mondiale, si aggiunse a quello versato dai Padri per la conquista della stessa Cima. Fulgido esempio di dedizione totale alla Patria adorata, immolò la sua giovane vita affinché Gorizia fosse per sempre italiana.

1998-2008 Buon Compleanno ITALIA!



L'Associazione ITALIA compie dieci anni, dalle prime fotoricostruzioni Divisione "San Marco" nei bunker di Monte Moro (GE) nel 1998, alla partecipazione al raduno di veicoli militari di Beltring in Inghilterra nel 1999, ai numerosi raduni di Storia Vivente e convegni, alle nostre recenti pubblicazioni riguardanti la storia delle FFAA italiane... e il nostro Blog "compie" oggi 1.000 visite in meno di un mese! Speriamo di aver dato ai nostri lettori qualche piacevole minuto di approfondimento e di svago.

Il Direttivo ringrazia i suoi soci e le altre Associazioni e gli Enti che hanno fruttuosamente collaborato con l'Associazione ITALIA in questi anni.

martedì 8 gennaio 2008

Il Comandante Bardelli parte 3



Il Regio Incrociatore Scipione l'Africano (disegno di Claudio Cherini)

Sbarcato a Bordeaux del Brin, Bardelli fu assegnato al Sommergibile Reginaldo Giuliani dal 16 febbraio 1941 al primo febbraio 1942. Il Giuliani, un Sommergibile Oceanico classe Liuzzi fu impostato dai Cantieri Tosi di Taranto il 13 marzo 1939, varato il 3 dicembre dello stesso anno e consegnato il 3 febbraio 1940. I Sommergibili classe Liuzzi erano ben conosciuti da Bardelli, che aveva prestato la sua opera nell’allestimento del Console Generale Liuzzi nel ottobre-novembre 1939.Dopo alcune missioni in Mediterraneo, il Giuliani fu modificato per operare in Atlantico e inviato a Betasom, dove giunse il 5 ottobre 1940. Operante in Atlantico, fu destinato a Gotenhafen (oggi Gdynia) per l’addestramento del personale sui nuovi metodi di guerra al traffico oceanico. Prima della partenza il Capitano di Corvetta D'Elia cedette il comando al Capitano di Fregata Vittore Raccanelli che lo assunse per il solo viaggio di trasferimento.Bardelli sarà imbarcato come Direttore di Macchina del Giuliani poco prima di questa crociera; il Sommergibile partirà da Bordeaux il 16 marzo 1941, giungendo a Gotenhafen, alla sezione di tattica italiana (Marigammasom), presso la Scuola Sommergibili tedesca, il 6 aprile 1941. All'arrivo, il C.F. Raccanelli, destinato sull'Incrociatore Bande Nere, passò il comando al C.C. Adalberto Giovannini. Il Giuliani rimarrà nella base germanica per circa un anno, a disposizione degli Ufficiali italiani iscritti alla Scuola Sommergibili, e mentre Ufficiali ed equipaggi saranno introdotti alle vincenti tattiche di combattimento subacqueo tedesche, al Capitano del Genio Navale Bardelli saranno svelate le soluzioni tecniche adottate nella costruzione e nell’armamento degli U-Boot.Nella sua permanenza a Gotenhafen, Bardelli incontrerà il Comandante Enzo Grossi, con il quale stringerà una salda amicizia che sarà riconfermata in diverse occasioni nei drammatici mesi del 1943-1944. (6) Il Capitano G.N. Bardelli ritornò quindi in Italia nel febbraio 1942, perché assegnato all’Ufficio Allestimento Sommergibili di Taranto, dove rimarrà sino al 20 ottobre 1942.Rientrato a Bordeaux nel maggio 1942, il Giuliani, comandato dal Capitano di Fregata Giovanni Bruno, affondò in Atlantico, nell’agosto 1942, i mercantili Medon (5.444 tsl), California (5.441 tsl) e Sylvia de Larrinaga (5.218 tsl), per un totale di 16.103 tsl, danneggiando anche un mercantile di 4.300 tsl. Il 18 ottobre 1942 Bardelli fu promosso Maggiore del Genio Navale, con anzianità di grado dal 9 ottobre 1942; il 21 dello stesso mese veniva imbarcato sulla moderna Corazzata Vittorio Veneto, classe Littorio, sulla quale rimarrà sino al 6 dicembre 1942.La Vittorio Veneto, dislocante 45.900 tsl, aveva un armamento principale di 9 pezzi da 381/50 e uno secondario di 12 pezzi da 152/55. Le sue macchine, dalla potenza di 140.000 cavalli-vapore, la spingevano ad una velocità di 30 nodi.Dal 6 dicembre al 27 dicembre 1942 Bardelli prestò servizio sul Cacciatorpediniere Bombardiere, impegnato dal novembre 1942 nella scorta dei convogli verso la Tunisia: la “rotta della morte”. Il Bombardiere, che aveva già diverse missioni di scorta al suo attivo, e sotto la guida del Comandante Giuseppe Moschini aveva respinto diversi attacchi di aerei e sommergibili alle navi da esso scortate, era un Cacciatorpediniere classe Soldati seconda serie, costruito dai Cantieri Navali Riuniti di Ancona. Impostato il 7 ottobre 1940, fu varato il 23 marzo 1942 e consegnato il 15 luglio dello stesso anno. Armato di 4 pezzi da 120/50, 8 mitragliere da 20/65 e 6 siluri, aveva un dislocamento 2.460 tsl, ed era dotato di macchine dalla potenza di 50.000 cavalli, che gli conferivano una velocità di 37 nodi.Il 17 gennaio 1943, solo due settimane dopo lo sbarco del Maggiore G.N. Bardelli dal Cacciatorpediniere, il Bombardiere fu affondato dal Sommergibile inglese United.Dal 28 dicembre 1942 al 20 maggio 1943 il Maggiore Bardelli sarà imbarcato nuovamente sulla Nave da Battaglia Vittorio Veneto. Nel giugno 1943, il Maggiore G.N. Bardelli fu decorato della Croce di Guerra al Valor Militare:Croce di Guerra al Valor Militare“Direttore di macchina di sommergibile, partecipava a numerose missioni dando prova di costante combattività, spirito di sacrificio ed elevato sentimento del dovere”. Determinazione del 13 giugno 1943.Bardelli fu quindi assegnato, dal 22 maggio al 31 agosto 1943, sull’Incrociatore Leggero Posamine Scipione Africano, l’ultimo varato della classe Capitani Romani, con la qualifica di Capo Servizio Genio Navale.Lo Scipione Africano fu costruito dai Cantieri Odero-Terni-Orlando di Livorno. Impostato il 28 settembre 1940, fu varato il 12 gennaio 1941 e consegnato alla Regia Marina il 23 aprile 1943.Gli Incrociatori classe Capitani Romani, dislocanti 5.420 tsl, erano armati con 8 cannoni da 135/45, 8 cannoni contraerei da 37 mm e 8 mitragliere da 13.2 mm. La potenza dell’apparato propulsivo era di 110.000 cavalli, che portavano la velocità teorica di questi Incrociatori Leggeri, dotati di scarsa protezione, a ben 41-43 nodi. Sotto la guida esperta del Maggiore G.N. Bardelli le macchine dell’Incrociatore portarono lo Scipione a toccare più volte i 44 nodi, stabilendo il primato di velocità tra gli Incrociatori.Nel maggio-luglio 1943 l’Incrociatore Scipione fu ormeggiato nei porti di La Spezia e di Genova, e, visto l’andamento delle operazioni terrestri in Sicilia, in previsione del blocco da parte Alleata dello Stretto di Messina, fu dato ordine allo Scipione di forzare lo Stretto e di raggiungere Taranto.Il 15 luglio 1943 l’Incrociatore Scipione lasciò l’ormeggio, ed il 17 luglio fu coinvolto in uno scontro notturno con quattro M.T.B., tra le quali la M.T.B. 315, comandata dal Leutnant Newell, e la sua gregaria M.T.B. 316, mentre era impegnato nella difficile missione del forzamento dello Stretto. In un confuso scontro notturno lo Scipione colpì con il fuoco delle sue artiglierie la M.T.B. 316, che affondò con tutto l’equipaggio, riuscì ad evitare l’offesa delle altre motosiluranti, letteralmente gareggiando in velocità coi siluri lanciati contro di esso, e danneggiò gravemente un’altra motosilurante inglese, giungendo poi senza danni a Taranto il 18 agosto 1943.L’Incrociatore Scipione era dotato del radar E.C. 3ter Gufo, che probabilmente rilevò per tempo le M.T.B., consentendo all’equipaggio di apprestarsi alla difesa. (7) In questa battaglia il Maggiore del Genio Navale Bardelli ricevette la sua seconda Medaglia di Bronzo al Valor Militare, con la seguente motivazione:“Capo Servizio G.N. di Incrociatore leggero in una missione particolarmente rischiosa, assicurava con la propria opera competente ed esperta il felice esito della missione stessa. Attaccata l’unità di notte da motosiluranti nemiche, era di esempio agli inferiori, con coraggio e serenità, contribuendo così al vittorioso esito dell’azione, che portò all’annientamento di tre delle quattro unità attaccanti”. Determinazione del 17 agosto 1943. Tra il 4 ed il 17 agosto lo Scipione portò a termine diverse rischiose missioni di posa di sbarramenti di mine nel Golfo di Taranto ed al largo della Calabria, sfidando gli aerei e le navi Alleate che tentavano di impedire l’evacuazione via mare delle forze italo - tedesche dalla Sicilia. Il 31 agosto il Maggiore G.N. Bardelli sbarcava dall’Incrociatore Scipione a Taranto. Certamente, mentre scendeva lo scalandrone che lo portava sul molo, non immaginava né che quello appena conclusosi sarebbe stato il suo ultimo imbarco su di una Nave da Guerra, né l’abisso nel quale sarebbe sprofondata l’Italia da lì a pochi giorni.

Terza parte. Continua la prossima settimana.

Il Comandante Bardelli

Il Comandante Bardelli
Rara foto in divisa da Ufficiale della Regia Marina

Il Comandante Bardelli

Il Comandante Bardelli
A Nettuno, nel Btg. Barbarigo della Xa MAS

Il Comandante Bardelli

Il Comandante Bardelli
Assieme ai suoi marò del Barbarigo

Decima MAS

Decima MAS
Ufficiali del Btg. Maestrale (poi Barbarigo): Tognoloni, Cencetti, Posio, Riondino...

MAS a Nettuno affondano un Pattugliatore americano

MAS a Nettuno affondano un Pattugliatore americano
L'azione di Chiarello e Candiollo in copertina all'Illustrazione del Popolo del 19 marzo 1944