venerdì 20 dicembre 2019

Novità: Sergio Pelagalli, QUAM HORRIDAE PUGNAE. Saggi di storia militare


Sergio Pelagalli

QUAM HORRIDAE PUGNAE. Saggi di storia militare

Analisi del fenomeno guerra - Ordinamenti militari nella storia
Arte militare o della guerra - Dall’armata sarda all’esercito italiano
Sociologia militare - Leggende nere, verità rimosse e curiosità militari

Come mai “tenente” generale è grado militare più elevato di “maggior” generale? Chi ha ucciso il general Cantore, leggendario “padre degli alpini”? Bava Beccaris: il ridicolo distrugge. Cattiva prova degli ufficiali americani in Vietnam. La “spagnola” (1918) mieté più vittime del conflitto che stava terminando. Quale stato ha mobilitato più uomini nella grande guerra? La forza da sbarco in Sicilia (1943) era più potente di quella in Normandia (1944). Beirut (1982-84): italiani all’altezza di marines americani e legione straniera francese. “Uomini di ferro su navi di legno hanno battuto uomini di legno su navi di ferro”. Alla “carica dei seicento” di Balaklava partecipano due ufficiali piemontesi. Le cinque giornate di Milano alla rovescia. Corti marziali statunitensi commutano sentenze capitali in pubbliche umiliazioni. Per chi “tira su” un numero basso, naia da sei o dodici anni. Sei alti ufficiali italiani destituiti dopo sole quarantott’ore di comando. Nei 33 secoli passati, soltanto due di pace. Non più “invasioni barbariche” ma “migrazioni di popoli”. L’epocale scontro di Poitiers: poco più d’una scaramuccia. Ruolo rivoluzionario della staffa: ridimensionato. L’equipaggiamento del cavaliere medievale valeva venti buoi. Le Crociate come “Iliade di baroni e Odissea di mercanti”. “I soldati devono temere più i loro ufficiali che il nemico”. “Quando vinceva, era l’esercito piemontese, quando perdeva era l’armata sarda”.

Questi sono alcuni degli argomenti sviscerati con competenza e brio dall’autore Sergio Pelagalli, Generale dell’Esercito Italiano e studioso di storia militare, in questa raccolta di saggi.

F.to 15x23 brossura, 382 pagg., alcune ill. bn, Euro 29,00.


ITALIA Storica, Genova 2019
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Disponibile anche su IBs e Amazon.

sabato 14 dicembre 2019

"PANZERJÄGER! Storia, reparti e armi delle truppe controcarro tedesche nella seconda guerra mondiale", recensito da Matteo Sacchi su "Il Giornale" di oggi


Ringraziamo "Il Giornale" e Matteo Sacchi per la bella recensione al ns "PANZERJÄGER! Storia, reparti e armi delle truppe controcarro tedesche nella seconda guerra mondiale", di Augusto Motolo e Wehrmacht Research Group, con la collaborazione di Andrea Lombardi. Il libro è disponibile presso le librerie specializzate di Milano e Roma e online, IBS e Amazon e direttamente da


ITALIA Storica
Via Onorato 9/18
16144 Genova
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Tel.Cell.: 348 6708340
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martedì 10 dicembre 2019

"PANZERJÄGER! Storia, reparti e armi delle truppe controcarro tedesche nella seconda guerra mondiale", recensito sulla Rivista Armi e Tiro


Ringraziamo Rivista Armi e Tiro e Ruggero Pettinelli per la bella recensione al ns "PANZERJÄGER! Storia, reparti e armi delle truppe controcarro tedesche nella seconda guerra mondiale", di Augusto Motolo e Wehrmacht Research Group, con la collaborazione di Andrea Lombardi. Il libro è disponibile presso le librerie specializzate di Milano e Roma e online, IBS e Amazon e direttamente da


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Più di 60 chili (sessanta!) di libri ITALIA Storica in spedizione domani! Dalle novità PANZERJÄGER! e PANZER GENERAL di Heinz Guderian a titoli già "best seller" come CACCIATORI DI UOMINI e GRENADIERE, ordinati da clienti e librerie specializzate in tutta Italia! Un grazie a tutti voi lettori! Per info, ordini e per ricevere il nostro catalogo aggiornato, come sempre inviateci una mail o scaricatelo dal link in alto a destra!

sabato 7 dicembre 2019

La Resistenza ha veramente “liberato l’Italia”? Fatti e misfatti del Comunismo italiano, un "libro nero" ancora da scrivere, di Ugo Finetti




La Resistenza ha veramente “liberato l’Italia”? I partigiani comunisti volevano abbattere il Fascismo per “la democrazia” o per imporre una dittatura sovietica? È per questo motivo che in più occasioni i partigiani comunisti hanno freddamente ucciso dei partigiani cattolici, monarchici o socialisti? L’intenzione di Togliatti era veramente quella di graziare i fascisti con la sua discussa Amnistia o intendeva coprire i crimini partigiani? Che legame c’era tra il PCI con l’URSS staliniana e della Guerra Fredda e le Brigate Rosse? Risponde a tutte queste domande, quanto mai attuali e necessarie nell'odierno inaudito clima di censura e di pensiero unico, il giornalista e passato caporedattore RAI Ugo Finetti.



«La partecipazione dei comunisti italiani al “libro nero” del comunismo mondiale è un capitolo notevole ancora tutto da scrivere. Un enorme buco nero copre fatti e misfatti del comunismo italiano». Fatti e misfatti che attraversano la nostra storia nazionale ma investono anche eventi accaduti all’estero, «come gli antifascisti ammazzati a Mosca, o i cattolici trucidati in Spagna». Un buco nero «che investe direttamente le responsabilità di Palmiro Togliatti e con il quale, ancora oggi, nonostante le apparenze, i postcomunisti non vogliono fare i conti».

Ugo Finetti, giornalista e storico, non ha dubbi: c’è un unico filo rosso che attraversa il lungo “secolo breve” italiano ancora tutto da riannodare, perché «in Italia i fatti sono stati cancellati». Studioso rigoroso, autore di numerose pubblicazioni sull’argomento, Finetti prova a far luce in questo buco nero analizzando alcuni passaggi cruciali: dal ruolo svolto dai comunisti nella vicenda dell’Aventino ai crimini compiuti nel corso della Resistenza e nell’immediato dopoguerra, dal colpo di Stato cui anelava il PCI al falso mito del “partito nuovo” fino alle BR e alle centrali internazionali del terrore.

Ancora oggi è molto radicata l’idea che cattolici e comunisti abbiano combattuto la guerra partigiana assieme per il medesimo obiettivo: riportare la democrazia in Italia. Eppure numerosi fatti, episodi e testimonianze sembrano dimostrare il contrario...
«Nella Resistenza ognuno aveva un progetto diverso. Nei comunisti, memori del leninismo della Grande guerra - quello della trasformazione della guerra in guerra rivoluzionaria - c’era l’idea di dare al conflitto uno sbocco, appunto, rivoluzionario. I comunisti avevano l’idea di prendere le armi per realizzare l’obiettivo di un regime sostanzialmente socialistico. Anzi, questo era l’obiettivo dello stesso Togliatti».

Stando così le cose, come hanno potuto convivere nella Resistenza ipotesi e idee così divergenti fra loro? A mezzo secolo di distanza qual è la spiegazione, al di là delle verità ufficiali?
«E semplice: nonostante le differenze cui lei accenna, il quadro politico di tenuta c’era. Esisteva una consapevolezza politica di Togliatti che veniva dalla sua esperienza maturata nella guerra di Spagna».

Che cosa c’entra la guerra di Spagna?
«Togliatti aveva fatto una riflessione autocritica: in Spagna i comunisti erano stati sconfitti anche perché avevano fatto una politica terroristica anticattolica. Lo stesso Togliatti aveva scritto su quest’argomento. Dall’altro lato, in ambito cattolico, c’era una forte inclinazione antifascista e antinazista. Il Vaticano soffriva da un lato della politica di Hitler che considerava pagana, e dall’altro - anche se solo in parte - della politica di Mussolini. Senza dimenticare, naturalmente, che Stalin era stato accreditato da Roosevelt nell’ambito di un’alleanza internazionale».

Tuttavia è innegabile che l’obiettivo ultimo dei comunisti era apparso chiaro a tutti fin dall’inizio della Resistenza...
«Non c’è il minimo dubbio. Basti pensare ai fatti di Porzus, dove le vittime furono partigiani antifascisti; poi vi fu la vicenda delle foibe, dove loro ammazzarono tutti quelli che non erano comunisti; e ancora, nell’immediato dopoguerra, il “Triangolo della morte” fu anch’esso fortemente anticattolico».

Ma allora perché, alla luce delle cose che lei ha appena detto, è ancora così forte l’idea del “patto antifascista”?
«La colpa è certamente della storiografia ufficiale che ha tramandato e tramanda una storia della Resistenza mitica, che lo stesso Giorgio Amendola aveva contrastato. Già negli anni ‘60 Amendola affermò che non bisognava dimenticare che i partigiani si sparavano tra loro».

Eppure, ancora oggi, un film come “Il partigiano Johnny” suscita scalpore...
«Certo: la Resistenza fu un convergere di diverse posizioni, ci furono fatti di sangue così come ci furono forti dissociazioni. Vede, il problema è che in Italia i fatti sono stati cancellati. Per esempio: perché si è proseguito ad una sommaria esecuzione di Mussolini, cosa che non era nei patti del CLN, che invece doveva consegnarlo agli Alleati per il processo? E la defenestrazione del capo del CLN, per opera dei comunisti, proprio alla vigilia della cattura di “Benito”?».

Una memoria occultata...
«La colpa è di molti storici; se la storia è scritta da quelli che facevano gli editoriali sull’Unità, beh... L’ingerenza dei comunisti nel campo dell’istruzione ha portato a dei manuali che sulla storia d’Italia, e in particolare sili fatti della Resistenza e del dopoguerra, hanno fatto un’enorme mistificazione».

Dunque quest’egemonia è ancora forte?
«I libri di storia non descrivono la Resistenza per ciò che è stata, ma raccontano che ci sono i comunisti che vogliono la democrazia e gli altri partiti che sono filoamericani e reazionari».

Sta pensando alla vicenda di Edgardo Sogno?
«Quella è una storia emblematica, figlia di qualcosa che viene da lontano. I comunisti hanno sempre demonizzato l’antifascismo senza i comunisti».

In che senso?
«Basti pensare all’Aventino, cioè, a quello che fu il vero atto di nascita dell’antifascismo. I comunisti, d’accordo con i sovietici, disertarono l’Aventino perché, come disse Gramsci al Comitato centrale, bisognava evitare “un governo dei ceti medi”. Per i comunisti, l’Aventino rischiava di portare un governo dei ceti medi quindi, nella loro ottica, meglio il fascismo che avrebbe portato ad una radicalizzazione prerivoluzionaria. Insomma, i comunisti hanno involgarito ogni atto dell’antifascismo e, per tornare a quanto dicevo prima, la responsabilità degli storici non comunisti è stata quella, ad esempio, di accettare quest’interpretazione dell’Aventino».

Dunque possiamo affermare che i comunisti si sono serviti dell’antifascismo per accreditarsi come partito democratico?
«Loro hanno pugnalato alla schiena l’antifascismo in due occasioni storiche: una è stata nel ‘24 con l’Aventino, l’altra è stata nel ‘39...».

Nel ‘39?
«Sì, perché, ancora oggi, c’è qualcuno che sostiene che la Seconda guerra mondiale è stata scatenata da Hitler e Stalin n’è stata la vittima...».

Non andò così?
«Scherza? La Seconda guerra mondiale fu scatenata da Hitler e Stalin assieme. L’invasione tedesca della Polonia avvenne il giorno dopo che il Soviet supremo ratificò il patto Hitler-Stalin di fine agosto. Hitler fu molto attento alle forme, e prima di dare esecuzione al patto con Stalin attese la ratifica del Parlamento sovietico. Quando, il 30 agosto, il Soviet ratificò l’accordo, il giorno dopo la Germania invase la Polonia».

Alcuni documenti, saltati fuori negli ultimi tempi, dimostrerebbero come il PCI puntasse, nell’immediato dopoguerra, al colpo di Stato in Italia. Questi documenti quanto possono modificare il giudizio sul cosiddetto “partito nuovo” di Togliatti? Quanto è credibile l’immagine del leader del PCI che torna in Italia e fonda un partito “nazionale e democratico”?
«Primo: quella della cosiddetta via italiana al comunismo è una leggenda, perché la svolta di Salerno fu dettata da Stalin in persona. Secondo: quella del partito nuovo, non era una grande originalità: pensi che ne parlava Lenin...».

E tutte le discussioni che ci furono nel PCI e il dibattito che ne scaturì?
«La verità è che Togliatti creò dei comitati unitari, tipo anni ‘30, dove c’erano diverse componenti, ma poi la struttura organizzativa era saldamente nelle mani dei comunisti. Così il “partito nuovo” di Togliatti, altro non fu che un grosso Comitato unitario, apparentemente aperto a tutti e senza discriminazioni, ma con una struttura di direzione fortemente centralizzata, secondo i principi del centralismo democratico. Quello che sto cercando di dire, è una cosa molto semplice: nel momento in cui c’è una struttura di tipo leninista a livello decisionale, il resto è una parata da Comitato unitario, da Comitato antifascista...».

Sarà anche così, però è proprio da lì che nasce l’idea di un PCI democratico, che avrebbe preso il potere solo con libere elezioni...
«Togliatti non aveva un progetto immediatamente rivoluzionario. La struttura parallela, che sarebbe stata successivamente creata, era nell’ipotesi dello scoppio di una guerra mondiale, nella quale i comunisti avrebbero dovuto appoggiare l’URSS. I comunisti italiani pensavano di arrivare al potere attraverso un’egemonia organizzativa. Lo stesso De Gasperi, in una lettera a Luigi Sturzo mentre era al governo con Togliatti, scrisse: “Io penso che i comunisti abbiano intenzione di impossessarsi del potere, di dar vita ad una dittatura comunista per via democratica”. In realtà De Gasperi avvertiva che il PCI, stava facendo un’azione di penetrazione nello Stato: il sindacato unitario, Togliatti che faceva un’azione nella magistratura... Insomma, loro pensavano di fare come in Cecoslovacchia, dove i comunisti attuarono quello che noi chiamiamo colpo di Stato. Un colpo di Stato che loro presentavano come un fatto democratico, perché formalmente ci fu una votazione del Parlamento con circa 70-80 deputati che si rifiutarono di ratificare il cambio della guardia. Ciò fu possibile perché c’era il comitato di agitazione sindacale che si era impossessato dei ministeri e prese deputato per deputato per fargli mettere la firma: chi non firmava decadeva. Era lo schema che aveva il PCI: agire attraverso un’organizzazione di massa che tenesse il controllo della piazza e influisse sulle decisioni dei rappresentanti ufficiali».

Lo storico Gianni Donno, consulente della commissione Stragi, parla della Gladio Rossa come di un peccato d’origine. Scrive Donno: “La Gladio Rossa rappresenta il vero vulnus (originario, costitutivo) della storia della democrazia repubblicana italiana”. E d’accordo?

«Si tratta di un giudizio. Piuttosto, per capire, bisogna mettersi dal punto di vista dei comunisti. Loro ritengono il terreno democratico infido, scivoloso. Da Togliatti a Berlinguer e fino a che non si è sciolto, il PCI ha vissuto e coltivato a sua volta l’ossessione del colpo di Stato. Per loro la democrazia in Italia è stata costantemente minacciata, DC e PSI non erano forze solide e, secondo i comunisti, potevano sempre finire nelle mani dei golpisti. In realtà, la democrazia in Italia è stata tenuta soprattutto da DC e PSI. Per questo i comunisti hanno sempre mantenuto un apparato organizzativo, militare e finanziario. Loro vivevano con le radio che erano sintonizzate sulle frequenze della polizia nell’attesa di intercettare i primi messaggi di colpo di Stato».

Dunque, in un certo senso erano i difensori della democrazia?
«Un momento. Dalla parte loro i comunisti hanno non solo mantenuto una struttura parallela, ma hanno anche alimentato tutta una cultura di doppio Stato i cui frutti, poi, si sono visti».

A che cosa si riferisce?
«Il brigatismo non nasce da alcuni giovinastri, ma da organizzatori che vengono dal mondo resistenziale, dalla capacità di organizzare l’apparato clandestino del PCI».

D’altra parte gli stessi fondatori delle BR ammettono l’influenza e il fascino, anche culturale, che il mito della “Resistenza tradita” esercitò su di loro...
«Non solo. Inoltre si appoggiarono alla struttura, innanzitutto cecoslovacca, che era quella con cui erano in rapporto anche i comunisti».

Vorrei farle notare, però, che una certa storiografia - accreditando lo scenario di un PCI diviso tra un Togliatti democratico e gradualista e un Secchia rivoluzionario - ha concluso che, avendo avuto la meglio Togliatti, la legittimità democratica del PCI non può essere messa in discussione...
«Si tratta di una cosa assolutamente non vera. Secchia era entrato in conflitto con Togliatti dopo il ‘53, cioè dopo la morte di Stalin, perché era andato a Mosca e aveva partecipato alla riunione dove le delegazioni di PCI e PCF furono informate da Malenkov e Kruscev che avrebbero dovuto cambiare anche loro, adeguarsi. Il Secchia che torna in Italia sa che lo stesso Togliatti è un po’ delegittimato.
Infatti, il leader del PCI ha sempre avuto un atteggiamento frenante sulla destalinizzazione, è sempre stato contro Kruscev e cercò di frenare le rivelazioni contro Stalin. Togliatti, non dimentichiamolo, negò sempre la veridicità del rapporto Kruscev che non fu mai pubblicato con Togliatti vivente. Non è vero che ci furono un Secchia “resistenziale” e un Togliatti “democratico”, in realtà Secchia era uno che cominciò a fare la fronda a Togliatti, ritornando da Mosca con la consapevolezza che anche a livello internazionale molti vecchi leader si avviavano al tramonto. La divaricazione Secchia-Togliatti è una cosa propagandistica».

Sta di fatto, però, che Secchia fu il vero artefice dell’apparato militare...
«Guardi che tutto quello che era l’apparato clandestino del PCI non era stato costituito di nascosto, all’insaputa o nonostante Togliatti, ma con Togliatti consapevole: per esempio, Massimo Caprara ricorda bene la vicenda di Schio...».

Si riferisce al dopo-strage di Schio, come la racconta Caprara nel suo libro L’inchiostro verde di Togliatti?
«Certo. Fu Togliatti, ministro della Giustizia, e non Secchia a proteggere gli autori della strage, (di cui abbiamo parlato diffusamente all’inizio di questo libro, NdA) e ad organizzarne la fuga in Cecoslovacchia: si è visto mai un ministro della Giustizia che organizza la fuga dei responsabili di una strage? Ecco chi era Togliatti».

E l’immagine di Togliatti antistalinista?
«Falsa anche quella: Togliatti è sempre stato un uomo del Comintern anzi, lui aveva una notevole considerazione di se stesso proprio come grande leader del movimento comunista internazionale».

Dunque, ha ragione Aldo Schiavone quando scrive che il PCI è stato una forza nemica del processo di democratizzazione?
«Togliatti è uno che si è mosso in un quadro democratico, ma se avesse avuto le mani libere la storia d’Italia sarebbe stata diversa».

Veniamo alla domanda cruciale: se è vero tutto questo, per¬ché non si è ancora arrivati a scrivere il libro nero del comunismo italiano?
«Nemmeno chi ha scritto il “libro nero” lo ha fatto e lo stesso Courtois è stato costretto all’autocritica. La verità è che c’è un buco nero enorme: la partecipazione dei comunisti italiani al libro nero non è cosa da poco, è un capitolo notevole».

Vogliamo provare a descriverla per sommi capi?
«E una storia che comincia con gli assassini in Urss. Pensi, sono trascorsi dieci anni da quando è morto Guelfo Zaccaria, che fu il primo a denunciare il massacro di 200 su 600 antifascisti a Mosca. E bene ricordare che, quando lui lo disse nel ‘63, tutti lo negarono, a cominciare dai comunisti italiani: solo ora questa verità è accettata. Poi c’è stata la guerra di Spagna, nel corso della quale i comunisti italiani e Togliatti in prima persona ebbero un ruolo rilevante: Togliatti era il commissario politico che dava ordini direttamente al governo spagnolo. Infine, c’è il capitolo dei massacri nel corso della Resistenza. Ho già ricordato due episodi per tutti: Porzus e le foibe».

Quella delle foibe, in particolare, è una vicenda emblematica...
«Fu Togliatti a dare l’ordine ai partigiani di indossare la divisa titilla, e la strage di Porzus, infatti, nacque proprio dalla circostanza che i partigiani non comunisti rifiutarono di farsi inquadrare dai titini. Inoltre, con Togliatti Guardasigilli c’è il boom delle stragi: da Schio alla Volante Rossa e fino al Triangolo dell’Emilia è con Togliatti ministro della Giustizia che le stragi raggiungono il loro punto più alto».

Però Togliatti fu anche l’uomo dell’amnistia...
«Un’altra leggenda. Togliatti non voleva l’amnistia per i fascisti. Il suo progetto era l’amnistia per le stragi compiute dai non fascisti. Poi, lui andò in minoranza in Consiglio dei ministri e il testo fu emendato: lo stesso Togliatti ebbe un giudizio critico, perché in quel momento era in difficoltà. L’amnistia, infatti, fu realizzata all’indomani delle elezioni per la Costituente, nelle quali Togliatti portò a casa un brutto risultato: il PCI arrivò terzo e il suo leader fu messo sotto accusa dalla direzione. C’è una coincidenza temporale tra le riunioni della direzione, nel corso delle quali Togliatti è costretto a fronteggiare le accuse interne, e le riunioni del Consiglio dei ministri sull’amnistia che sono del giugno ‘46. Il testo dell’amnistia è emendato attraverso varie riunioni fino a quella del 22 giugno, dove Togliatti dirà che “alcune conseguenze negative (in seguito all’esito del voto, NdA) già si sono avute: per esempio nel contenuto dell’amnistia, misura che il nostro partito ha approvato ma che avrebbe voluto contenere in limiti più restrittivi per i fascisti”...».

Sta dicendo che non si trattò di un provvedimento di pacificazione?
«Assolutamente no. Togliatti era contrario, fu messo in minoranza e non aveva in quel momento grandi capacità di contrattazione perché era sotto accusa nel partito».

Il dossier Mitrokhin è stata un’occasione persa dai postcomunisti per fare i conti con questa storia che è la loro storia?
«Loro non intendono affatto fare i conti con la storia».

Eppure dovrebbero essere i primi ad avere interesse a gettare un po’ di luce su quei fatti, non crede?
«Il congresso del 1991 (quello della trasformazione del PCI in PDS, NdA) fu presieduto dalla vedova di Togliatti, che fece un lungo discorso senza mai nominare Togliatti».

Questo che cosa vuol dire?
«Che fanno fare il discorso alla vedova di Togliatti, per sottolinearne la continuità, ma non vogliono fare i conti con il loro passato. Al congresso del Lingotto di Torino (l’ultimo congresso celebrato dai DS, partito precedente l'attuale PD NdA) la platea andò in delirio quando sul video comparvero Togliatti, Gramsci e Berlinguer. Da parte loro non c’è alcuna revisione: continuano a ritenere che in Italia Gramsci, Togliatti e Berlinguer abbiano sempre avuto ragione. Gli stessi storici francesi, quelli di sinistra per intenderci, affermano che il grande ritardo degli storiografi italiani è stato quello di aver sempre sopravvalutato la storia nazionale del PCI e sottovalutato il rapporto con il Comintern; hanno sempre fatto una storia del PCI come erede di Machiavelli, De Sanctis e Croce. Ma la verità è un’altra».





UGO FINETTI, QUEL CAPITOLO DEL “LIBRO NERO” ANCORA TUTTO DA SCRIVERE, in A. De Simone e V. Nardiello, Appunti per un libro nero del comunismo italiano, Napoli 2004.

mercoledì 27 novembre 2019

Gabriele Parodi – Paola Coraini, ARDITO IN PACE E IN GUERRA - Il Generale Silvio Parodi dalla grande guerra alla Repubblica Sociale Italiana


Gabriele Parodi – Paola Coraini
ARDITO IN PACE E IN GUERRA
Il Generale Silvio Parodi dalla grande guerra
alla Repubblica Sociale Italiana

Questo saggio è stato pensato e voluto per colmare un vuoto nella ricerca storica nel settore specifico di Genova nel ‘900 e in particolare durante il Fascismo, riguardando una personalità spesso citata e nominata ma di cui non era mai stata scritta una biografia completa: quella del Generale MBVM Silvio Parodi (1878-1944), ufficiale d’Accademia, Ardito decorato nella Grande Guerra e nella Campagna di Libia del 1919, squadrista della prima ora, politico e uomo delle Istituzioni – da commissario civile di Traù (Trogir) in Dalmazia nel 1941-1943 a commissario prefettizio di Genova durante la RSI, ruolo che ne sancì la tragica fine per mano partigiana ­–, mecenate e filantropo. Una vita che abbiamo cercato di ricostruire con tutte le fonti a nostra disposizione, tra le quali molte inedite, come sempre mantenendoci fedeli ad esse, senza retorica, ma con quell'entusiasmo ed ammirazione che suscita questa figura alla cui opera non abbiamo potuto rimanere indifferenti.

Formato 14x21, brossura, 136 pagg., ill. bn e colori, Euro 16,00


Edito da:
 
ITALIA Storica
Via Onorato 9/18
16144 Genova
GE

Info e ordini: ars_italia@hotmail.com

domenica 17 novembre 2019

HOLODOMOR: Le foto inedite del genocidio comunista del popolo ucraino

Inedite in Italia e qui presentate per la prima volta grazie all'Ucrainica Research Institute di Toronto (Canada) che ha permesso alla nostra Associazione ITALIA Storica di riprodurle, pubblichiamo queste rarissime fotografie della carestia pianificata e della collettivizzazione forzata dell'Ucraina del 1932-1933, e delle sue vittime. In chiusura, un approfondimento storiografico su questo importante avvenimento "dimenticato" del '900.

Andrea Lombardi
ITALIA Storica




















In Ucraina l'Unione Sovietica ordinò il genocidio: ecco le prove
Riccardo Michelucci per "Avvenire", giovedì 21 dicembre 2017

Poco più di trent’anni fa, il grande storico inglese Robert Conquest inaugurò gli studi sul cosiddetto "Holodomor", il più imponente sterminio della storia europea del XX secolo dopo l’Olocausto. Nel suo monumentale lavoro pionieristico Harvest of Sorrow (tr. it Raccolto di dolore), uscito nel 1986 - prima del crollo dell’Unione Sovietica -, riuscì a documentare il disegno criminale di Stalin che causò la morte per fame di milioni di ucraini, nei primi anni ’30. Da allora il dibattito ha visto gli storici dividersi non tanto sulle cause della carestia, quanto per stabilire se sia corretto o meno definirla «un atto di genocidio», con le implicazioni politiche che ne deriverebbero.

Il primo a ritenerlo tale, molti anni prima dello stesso Conquest, era stato Raphael Lemkin, il giurista polacco che coniò il termine genocidio e si batté per inserirlo nel diritto internazionale. Un riconoscimento ufficiale del dramma ucraino è stato però finora sempre ostacolato dall’opposizione prima dell’Unione Sovietica, poi della Russia. Un contributo importante in questo dibattito arriva adesso dal saggio Red Famine: Stalin’s War on Ukraine della studiosa Anne Applebaum, già vincitrice del premio Pulitzer nel 2004 per un libro sui gulag dell’era sovietica. Editorialista del Washington Post e grande esperta di storia russa, Applebaum si è avvalsa di una gigantesca mole di fonti documentarie inedite provenienti da archivi locali e nazionali russi e ucraini (alcuni dei quali aperti per la prima volta negli anni ’90), nonché testimonianze orali dei sopravvissuti pubblicate dall’Istituto ucraino della memoria nazionale.

Com’è stato sottolineato da altri storici, la brutale collettivizzazione delle terre voluta da Stalin scatenò e poi intensificò quella carestia, che non colpì soltanto l’Ucraina ma interessò anche altre parti dell’Unione Sovietica. Nelle lettere private degli archivi di stato russi, i leader sovietici parlano di «spezzare la schiena alla classe contadina», e la stessa politica venne attuata nei confronti della Siberia, del Caucaso del nord e della zona del Volga, causando anche l’annientamento di oltre la metà della popolazione nomade del Kazakhstan.

Non v’è dubbio, però, che i maggiori danni e il più alto numero di vittime sia stato registrato proprio in Ucraina, dove le radici storiche di quei fatti, come racconta Applebaum, affondano nei secoli precedenti. I territori che gli zar avevano confiscato agli ottomani e ai cosacchi nel XVII e XVIII secolo cominciarono a essere considerati parte essenziale dell’impero russo fin dall’ascesa della dinastia Romanov. Durante la guerra civile che seguì la rivoluzione bolscevica, la classe contadina ucraina, essenzialmente conservatrice e anti comunista, non volle mai sottomettersi al nuovo potere e resistette strenuamente alle armate di Lenin. Sul finire degli anni ’20 i contadini furono costretti ad abbandonare le loro terre per aderire alle fattorie collettive dello stato. Gran parte di essi si opposero duramente alla collettivizzazione, rifiutandosi di cedere il grano, nascondendo le derrate alimentari e uccidendo il bestiame. Il politburo sovietico lo considerò un atto di ribellione e, pur di fronte alla sempre più grave carenza di cibo nelle campagne, mandò gli agenti e gli attivisti locali del partito a requisire tutto quello che trovavano, compresi gli animali. Al tempo stesso fu creato un cordone attorno al territorio ucraino per impedire la fuga.

Il risultato fu un’immane catastrofe: almeno cinque milioni di persone morirono di fame in tutta l’Urss non a causa del fallimento delle coltivazioni, ma perché furono deliberatamente private dei mezzi di sostentamento. Di questi, circa quattro milioni erano ucraini. Stalin rifiutò qualsiasi forma di aiuto dall’esterno, accusò i contadini che stavano morendo di fame di essere loro stessi colpevoli di quanto stava accadendo e promulgò leggi draconiane che esacerbarono la crisi. Chiunque veniva trovato in possesso anche solo di una buccia di patata era passato per le armi.

Applebaum spiega che la carestia non fu causata dalla collettivizzazione, ma fu il risultato della confisca del cibo, dei blocchi stradali che impedirono alla popolazione di spostarsi, delle feroci liste di proscrizione imposte a fattorie e villaggi. Il capitolo sulle conseguenze della carestia è a dir poco agghiacciante: dopo aver citato un rapporto riservato nel quale il capo della polizia segreta di Kiev elenca 69 casi di cannibalismo in appena due mesi, racconta casi di persone che uccisero e mangiarono i propri figli, la totale estinzione di cani e gatti, la scomparsa della popolazione di interi villaggi, i carri per il trasporto dei defunti che raccoglieva anche i moribondi e poi li seppelliva ancora vivi. Il mondo contadino ucraino fu il bersaglio principale di quegli anni di terrore che vide anche brutali persecuzioni antireligiose, con la sconsacrazione e la distruzione delle chiese, la lotta allo scampanio che rappresentava un’antica tradizione popolare.

Lo sguardo della studiosa statunitense si sofferma su tutti gli aspetti della vicenda, analizzando anche il modo in cui l’identità nazionale dell’Ucraina post-sovietica sia stata costruita attorno a essa, e approfondisce il tema delle coperture nazionali e internazionali che hanno consentito di celarla agli occhi del mondo. Non solo l’Unione Sovietica non la riconobbe mai, ma soffocò qualsiasi forma di dissenso e manipolò le statistiche demografiche, secondo le quali nel 1937 circa otto milioni di persone risultavano svanite dal Paese. Quanto ai corrispondenti a Mosca dei giornali stranieri, con la sola eccezione dell’eroico giornalista gallese Gareth Jones, non si sognarono di raccontare quei fatti. William Henry Chamberlin del "Christian Science Monitor" scrisse che i cronisti «lavorano con una spada di Damocle sulla testa: la minaccia di espulsione, o il rifiuto di un permesso per rientrare, che è poi la stessa cosa».

Ma l’Holodomor fu davvero un atto di genocidio? Applebaum non ha dubbi e ritiene che quanto accadde tra il 1932 e il 1933 coincide perfettamente con la definizione di Lemkin, ma resta purtroppo escluso dalla formulazione redatta nel 1948 con la "Convenzione sul genocidio". Non a caso l’Unione Sovietica vi contribuì in modo decisivo proprio al fine di escludere l’olocausto ucraino. Finché il diritto internazionale non sarà aggiornato in tal senso, l’Holodomor continuerà dunque a rimanere formalmente escluso dalla lista dei genocidi.

lunedì 28 ottobre 2019

PANZER GENERAL - Ricordi di un soldato, di Heinz Guderian



Heinz Guderian
Panzer General
Ricordi di un Soldato 

Dalle origini della Panzerwaffe alle vittorie in Polonia, Francia e Russia fino allo Stato Maggiore di Hitler, le memorie di uno dei creatori della Blitzkrieg. In appendice fotografie in bn, ordini di battaglia, organigrammi e mappe a colori.

F.to 15x23, brossura, 506 pagg., Euro 36,00


Info e ordini via mail a italiastorica@hotmail.com

mercoledì 23 ottobre 2019

STORIA DEI FREIKORPS, di Dominique Venner




In questo libro lo storico francese Dominique Venner narra l’epopea dei Freikorps, i corpi franchi nati dalle ceneri dell’Esercito Imperiale nella Germania in preda al caos del novembre 1918. Questi volontari, pronti a tutto per mantenere in piedi il Reich vacillante e le sue frontiere minacciate a est ed ovest, di volta in volta cinicamente usati e rigettati dai politici della Repubblica di Weimar, repressero nel sangue le rivolte spartachiste e anarchiche a Berlino e Amburgo e abbatterono le “Repubbliche dei Soviet” di Monaco di Baviera e nella Ruhr, per poi combattere in battaglie campali l’avanzata dell’Armata Rossa nei Paesi baltici. Traditi e rinnegati per l’ennesima volta dal governo tedesco, parteciperanno a tentativi di golpe, all’assassinio del ministro degli esteri Walther Rathenau, e saranno essenziali nella nascita del Nazismo, offrendo a Adolf Hitler i suoi primi seguaci – ma anche alcuni dei suoi più feroci oppositori.

Formato 15x23, 352 pagg., foto e illustrazioni a colori.
Edito da Associazione Culturale Italia Storica, 2019.
Edizione riveduta, corretta e ampliata con appendici e nuove fotografie e mappe del libro "Baltikum" di Dominique Venner.

Ordini e info: mail a ars_italia@hotmail.com
Disponibile anche su IBS e Amazon.

mercoledì 18 settembre 2019

PANZERJÄGER! Storia, reparti e armi delle truppe controcarro tedesche nella seconda guerra mondiale, di Augusto Motolo e Wehrmacht Research Group, con la collaborazione di Andrea Lombardi




Disponibile la prima opera completa in italiano sui reparti controcarro tedeschi Panzerjäger nella seconda guerra mondiale!

Questa è la prima opera enciclopedica in italiano dedicata alle truppe controcarro tedesche nella seconda guerra mondiale. Il testo ne descrive l'organizzazione, le dotazioni in armi, mezzi e uomini, gli ordini di battaglia, le tattiche, l'armamento e il relativo munizionamento, dalle origini nella grande guerra alla nascita della Panzerabwehrtruppe nella Reichswehr allo sviluppo dei Panzer Abwehr Kanone (PAK) della Wehrmacht e relativi trattori ruotati, semicingolati e cingolati al combattimento ravvicinato dei corazzati nemici ai semoventi controcarro, dai primi Panzerjäger I alla serie Marder ai Ferdinand/Elefant e Hornisse/Nashorn sino agli Jagdpanzer IV e Panzer IV/70, dagli Jagdpanther, Jagdpanzer 38 (t) e Jagdtiger, agli altri cingolati o ruotati dotati di pezzi PAK di serie, sperimentali o improvvisati, all’uso controcarro degli Sturmgeschütz III e IV ai mezzi di preda bellica, inclusi i semoventi Fiat-Ansaldo italiani. Con approfondimenti sulle difese fisse controcarro comprese le Pantherturm, sulla mimetizzazione e i simboli tattici dei semoventi Panzerjäger, sulle uniformi degli equipaggi dei Panzerjäger, e sulla formazione e le innumerevoli battaglie combattute su ogni fronte da tutti i reparti controcarro indipendenti della Wehrmacht e Waffen-SS e le schede biografiche e le azioni degli “assi” dei Panzerjäger e degli insigniti del Panzervernichtungsabzeichen per il combattimento ravvicinato dei corazzati maggiormente decorati.
Il testo è completato da centinaia di fotografie in bianco e nero e a colori, in gran parte inedite, provenienti da archivi militari e di ricercatori storici e collezionisti di tutto il mondo, e da 33 dettagliati profili a colori concessi dalle Éditions Caraktère.

In calce, il sommario dell'opera.

Formato 21x26, ben 736 pagg. completamente illustrate e con 96 pagg. a colori, copertina plastificata opaca, brossura cucita.

Prezzo di copertina 65,00 Euro >>> SCONTO PER ORDINI DIRETTI 49,00 Euro spedizione tracciabile inclusa! Pagamento Paypal, IBAN, Conto Corrente Postale.

ORDINI E INFO: ITALIA Storica, Genova, via e-mail a ars_italia@hotmail.com o tel. 348 670 8340


Sommario del libro:


LE ORIGINI NELLA PRIMA GUERRA MONDIALE

Capitolo I
LE TRUPPE CONTROCARRO DELLA REICHSWEHR

Capitolo II
LE ARTIGLIERIE CONTROCARRO E IL LORO IMPIEGO

Capitolo III
LE ARMI CONTROCARRO INDIVIDUALI

Capitolo IV
IL MUNIZIONAMENTO

Capitolo V
TRATTORI D’ARTIGLIERIA

Capitolo VI
I SEMOVENTI CONTROCARRO
PANZERJÄGER I
Il 4,7 cm PAK (t) AUF GESCHÜTZWAGEN 35R(f) OHNE TURM
SD.KFZ. 132 MARDER II
MARDER I E ALTRI DERIVATI DEL BAUKOMMANDO BECKER
SD.KFZ. 131 MARDER II
SD.KFZ. 139 MARDER III G
SD.KFZ. 138 MARDER III H e MARDER III M
STURMGESCHÜTZ III E STURMGESCHÜTZ IV
SD.KFZ.164 HORNISSE/NASHORN
TIGER (P) SD.KFZ.184 FERDINAND/ELEFANT
SD.KFZ. 162 JAGDPANZER IV
PANZER IV L/70 (V) - PANZER IV L/70 (A)
JAGDPANZER 38(t) HETZER
Sd.Kfz. 173 JAGDPANTHER
Sd.Kfz. 186 JAGDTIGER
SCHWERER PANZERSPÄHWAGEN 7.5 cm SD.KFZ. 233
SD.KFZ. 251/9 KANONENWAGEN “STUMMEL”
PAK 40/4 RSO
SD.KFZ. 251/22 e SD.KFZ. 234/4
I SEMOVENTI ITALIANI

Capitolo VII
LE DIFESE CONTROCARRO FISSE

CONCLUSIONI

COLORAZIONE E SIMBOLI TATTICI DEI SEMOVENTI CONTROCARRO

LE UNIFORMI DELLE TRUPPE CONTROCARRO TEDESCHE

La carriera militare di un Panzerjäger attraverso il suo Wehrpass
Gli Assi dei Panzerjäger e Sturmgeschütz
Gli Assi dei PAK
I decorati del Panzervernichtungs-Abzeichen
per la lotta ravvicinata controcarro
Le unità Panzerjäger indipendenti della Wehrmacht
Le unità Panzerjäger indipendenti delle Waffen-SS

GLOSSARIO
BIBLIOGRAFIA



Dall'interno del libro:















Da Quarto dei Mille a Fiume. Genova con Gabriele D'Annunzio, di Andrea Castagnino



Questo lavoro riassume le vicende che legarono Gabriele D'Annunzio a Genova negli anni cruciali tra il 1915 e il 1920, dallo scoppio della prima guerra mondiale alla presa di Fiume, cercando di riportare alla luce situazioni e uomini protagonisti, in Genova e altrove, di quell'epoca che vide Gabriele D'Annunzio come una figura di spicco. Emerge dal passato un mondo fatto di uomini e donne genovesi largamente dimenticati dai posteri, ma che furono attori in un panorama locale e nazionale dai fortissimi impulsi di rinnovamento, uomini che tutto osarono nel rinnovare l'Italia, sacrificando anche la propria vita. Molti di essi iniziarono questo cammino trovando in D'Annunzio la guida e l'ispiratore, confermando quanta passione vi fu tra gli italiani a cavallo di due secoli verso l'uomo Poeta, Vate e Comandante, capace di interpretare con la parola e l'azione lo spirito nazionale educando tantissimi italiani alla cultura latina e mediterranea e alla sua continua presenza nella civiltà umana. Completamente illustrato con rare foto d'epoca e faleristica fiumana.

F.to 14x21, 120 pagg. compl. ill in bn e a colori, Euro 16,00.

Per info e ordini, inviare una mail a ars_italia@hotmail.com

giovedì 20 giugno 2019

NUOVO: "NARVA 1944, LA BATTAGLIA DELLE SS EUROPEE"




NARVA 1944, LA BATTAGLIA DELLE SS EUROPEE 
di Wilhelm Tieke


Per la prima volta in italiano, l'avvincente storia della coraggiosa difesa dell’Estonia, della testa di ponte di Narva e della "Linea Tannenberg" da parte dei volontari europei SS danesi, norvegesi, fiamminghi e estoni e delle unità tedesche - un vero e proprio "Esercito Europeo" - contro l'irrompere verso ovest dell'Armata Rossa nel gennaio-settembre 1944. Battaglie, atti d'eroismo, vittorie e sconfitte dei contendenti sono ricostruiti in testo documentato ma scorrevole, e integrati da centinaia di rare foto in bn e colori e mappe.




Edito da Associazione Culturale Italia Storica, f.to 17x24, 336 pagg., ill. bn e col., rilegato in brossura PUR, copertina plastificata opaca. Prezzo 32,00 Euro (IBAN, CC Postale, Paypal) via mail a: ars_italia@hotmail.com.



Copertina di Giuseppe Rava.


Il Comandante Bardelli

Il Comandante Bardelli
Rara foto in divisa da Ufficiale della Regia Marina

Il Comandante Bardelli

Il Comandante Bardelli
A Nettuno, nel Btg. Barbarigo della Xa MAS

Il Comandante Bardelli

Il Comandante Bardelli
Assieme ai suoi marò del Barbarigo

Decima MAS

Decima MAS
Ufficiali del Btg. Maestrale (poi Barbarigo): Tognoloni, Cencetti, Posio, Riondino...

MAS a Nettuno affondano un Pattugliatore americano

MAS a Nettuno affondano un Pattugliatore americano
L'azione di Chiarello e Candiollo in copertina all'Illustrazione del Popolo del 19 marzo 1944