domenica 15 maggio 2011

"Croce di ghiaccio" (CSIR e ARMIR in Russia) recensito da Piero Vassallo




Bella recensione di Piero Vassallo* al libro "Croce di ghiaccio" di PR di Colloredo:

Nobiltà degli sconfitti

Secondo la dotta opinione di Marcello Rambaldi Guidasci, dalla severa e insindacabile opera del compianto Norberto Bobbio si può cavare ed estrarre la sentenza che divide le guerre secondo le supreme categorie del Bene (le guerre vinte dai liberal-democratici e, fino ad un certo punto della storia, dai sovietici) e del male (le guerre perdute dai fascisti).

Le condanne cavate ed estratte dalla solenne metafisica di Bobbio sono inappellabili. Ipse dixit. Il giudizio sulla mala guerra del Csir e dell'Armir nell'Unione sovietica pertanto non si discute: fu una cattiva azione voluta dal bieco tiranno. Il dubbio sulla follia del duce, peraltro, è schiettamente fascista: altolà, il revisionismo non passerà!

Non è consentito neppure di rammentare che la vittoria in Russia (forse) era possibile fino a quando il governo giapponese, venendo meno all'impegno assunto nel dicembre del 1941 con l'Asse, fece sapere ai servizi segreti di Stalin che non avrebbe attuato l'attacco alla Russia dunque che il comando sovietico poteva ritirare le ingenti armate schierate all'est. E trasferirle sul fronte del Don, dove avrebbero capovolto l'andamento della guerra.

Dopo Bobbio, la guerra fascista non può essere giustificata in alcun modo. Senza mancare al rispetto che si deve a un padre della nostra meravigliosa repubblica e un illuminato precursore di Gianfranco Fini, osiamo credere tuttavia che non sia automatica e inevitabile l'estensione e l'applicazione della sentenza sulla guerra perduta dal duce ai soldati italiani perdenti.

Non si può escludere a priori la nobiltà e il valore degli sconfitti, che hanno combattuto la guerra fulminata dal severo verdetto bobbiano e finiano. Non è revisionismo contrastare la vulgata storiografica al potere secondo cui i soldati italiani furono mandati allo sbaraglio, privi di preparazione, mal disposti e male equipaggiati.

Nel leale, doveroso silenzio sulla giustizia di Stalin e sugli illuminanti giudizi di Bobbio, lo storico Pierluigi Romeo di Colloredo, autore del saggio "Croce di ghiaccio - C.S.I.R. e ARM.I.R in Russia 1941-1943", edito in Genova dall'Associazione culturale Italia, (via Onorato 9/18 - 16144 Genova) dimostra, appunto, la nobiltà dei nostri combattenti. E qualcosa di più di un'ardimentosa e patetica nobiltà, rassegnata alla prevedibile, inevitabile sconfitta: oltre a un'ottima preparazione e a un adeguato equipaggiamento, l'orgoglio di appartenere alla Patria italiana, la volontà di battersi per vincere, la convinzione che Stalin fosse un nemico infame.

Il valore dei combattenti italiani in Russia, del resto, è testimoniato dall'alto numero di medaglie d'oro ai singoli e ai reparti, decorazioni assegnate a guerra in corso e dopo la guerra, quando in Italia era già ristabilito l'ordine democratico.

Consultati documenti d'archivio, Pierluigi Romeo di Colloredo si affretta a smentire la storia, scritta da Montanelli e Cervi, che contempla la folgore hitleriana e l'assoluta disinformazione-improvvisazione italiana: il governo di Roma, infatti, "sapeva benissimo, sin dalla fine di aprile -inizi di maggio, del prossimo attacco sovietico all'Urss e aveva deciso di parteciparvi con quello che sarebbe diventato il CSRI allora denominato Corpo d'Armata Autotrasportabile".

Ora il primo comandate del CSRI fu il generale Francesco Zingales, un convinto fautore della meccanizzazione dell'esercito. Costituito da 50.000 combattenti, il Corpo di spedizione italiano in Russa, fu "dotato di quanto di meglio la magra industria bellica italiana potesse mettere a disposizione", ad esempio di 5100 automezzi, uno ogni dieci militari.

Le immagini tratte dall'Archivio storico dell'Esercito e pubblicate in appendice di "Croce di ghiaccio", confermando il giudizio dell'autore dimostrano che i soldati italiani erano dotati di armi molto efficienti e che il loro entusiasmo e la loro combattività erano molto alti.

Non si fa oltraggio alla memoria di Bobbio rammentando che, durante la campagna di Russia, i combattenti italiani ottennero alcuni importanti successi. Durante le operazioni per la chiusura della sacca di Petrikowka, ad esempio, gli italiani fecero prigionieri diecimila sovietici. Nel Mar Nero il Mas 568 del Sottotenente di Vascello Legnani colpì con due siluri e mise fuori combattimento l'incrociatore Molotov.

Il libro ricostruisce anche la vicenda dello sfondamento sovietico attuato da più di un milione di combattenti nel dicembre 1942 e dimostra che le voci sulla fragilità dei reparti italiani sono del tutto infondate: ad esempio "la divisione Ravenna non è semplicemente scappata il primo giorno di combattimento ... ma ha combattuto giorno e notte tra l'11 e il 17 dicembre 1942".

Perfetta e avvincente è la ricostruzione della carica di Isbishenslij, una delle pagine gloriose della nostra storia contemporanea. Interessanti sono anche le ricostruzioni delle vicende poco conosciute dei reparti di cosacchi e croati inquadrati nell'esercito italiano, reparti che versarono un ingente tributo di sangue.

Il libro di Colloredo e caldamente consigliato quale contributo prezioso e credibile alla riabilitazione della memoria italiana, calunniata e massacrata da leggende nere coniate dall'invidia straniera e dal masochismo nazionale.

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Esponente di primo piano della destra cattolica italiana, il Prof. Piero Vassallo si è formato alla scuola di Giano Accame, Primo Siena e Gianni Baget Bozzo. Laureato in filosofia, è stato docente nella facoltà di teologia e nei corsi di giornalismo, e collaboratore della rivista Renovatio, fondata dal Cardinal Giuseppe Siri.

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