sabato 5 gennaio 2008
Osoppo e Xa MAS
DA IL PICCOLO DI TRIESTE DEL 28 DICEMBRE 2007
STORIA Nuove rivelazioni dagli archivi segreti e un libro di Gorazd Bajc
partigiani della Osoppo e X Mas insieme per difendere Trieste
Gorazd Bajc, sloveno di Trieste, laureato presso la Facoltà di Lettere dell'Ateneo Triestino - in seguito ha conseguito a Lubiana il master e il dottorato di ricerca - è attualmente ricercatore e docente presso l'Università del Litorale di Capodistria. Studioso di storia dei Servizi Segreti angloamericani nel periodo bellico, ha lavorato a lungo negli archivi riservati della Slovenia, in quelli di Londra e sulla documentazione statunitense. È autore di numerosi saggi e di tre monografie.
La biografia di Ivan Marija Cok (uno dei leader politici degli sloveni del Litorale durante il fascismo e la guerra) che uscì nel 2000 e due anni dopo di «Iz nevidnega na plan» (che potremmo tradurre «Dall'anonimato alla luce del sole»), che tratta della collaborazione tra alcuni sloveni del Litorale e i Servizi Segreti Britannici nel reclutare e inviare le missioni speciali in Slovenia durante la Seconda Guerra Mondiale.
Argomento poco indagato come lo è la vicenda degli sloveni della Venezia Giulia, inquadrati dal Regio Esercito Italiano nei battaglioni speciali e utilizzati poi dai Servizi Segreti britannici in Africa settentrionale, in Sardegna ed in Corsica in funzione della loro politica, come emerge dal volume di Sara Perini «Battaglioni Speciali, Slav Company 1940-1945».
Nell'ultima fatica «Operazione Venezia Giulia (Operacija Julijska krajina)», pubblicata l'anno scorso dalla casa editrice Annales di Capodistria, il giovane storico tende a rovesciare alcune consolidate interpretazioni sulla storia della resistenza italiana, ripercorrendo le vicende ed esaminando il ruolo di tutte le missioni angloamericane e di quelle collegate ai Servizi Segreti italiani il SIM (Servizo Informazioni Militare) e quelle del SIS (Servizio Informazioni Segrete della Marina) al confine orientale italiano.
Molti documenti reperiti negli Archivi di Londra e di Washington ci permettono di tracciare una panoramica completa sull'attività di queste missioni a diverso livello d'importanza, che non hanno agito contemporaneamente. Quelle britanniche di lunga tradizione ed esperienza riuscirono a comprendere più degli altri le difficoltà, per l'Italia, di mantenere il confine prebellico. Dopo l'8 settembre 1943 non esiste infatti nessuna formazione militare italiana in grado di difenderlo efficacemente, mentre il movimento partigiano jugoslavo acquista una crescente forza militare e politica, che vuole esercitare il proprio peso anche nella ridefinizione del confine.
Con le nuove fonti riservate scoperte dal Bajc è possibile oggi verificare l'entità numerica delle missioni, da chi furono composte, dove fossero attive, quali fossero i loro legami con le varie unità militari e le formazioni partigiane.
Chiediamo all'autore di «Operacija Julijska krajina» di entrare direttamente nel merito delle sue più importanti scoperte.
«Nel volume analizzo, tra l'altro, soprattutto con documenti angloamericani, come le formazioni partigiane della Osoppo avessero cercato insieme alla X MAS di costituire un fronte unico per difendere il confine prebellico e dare un supporto agli angloamericani per farli arrivare nella Venezia Giulia prima delle truppe di Tito.
Oggi è possibile comprendere più a fondo il ruolo degli osovani nei loro rapporti con il governo del Sud, il cosiddetto "piano De Courten", e gli angloamericani, intenzionati a loro volta, con il progetto ”antiscorch”, a prevenire eventuali disordini sociali di cui avrebbero potuto avvantaggiarsi i comunisti alla fine del conflitto.
Gli alleati apprezzano le capacità militari della X MAS, ne rilevano il nazionalismo ed una certa autonomia nei confronti della Repubblica di Salò e dei tedeschi, rimarcano l'importanza del comandante Junio Valerio Borghese ed i contatti che si sviluppano tra la fine del '44 e gli inizi del '45, tra la Osoppo e la X MAS».
«Se non si costituì un fronte antislavo anticomunista, come si diceva allora, bisogna comunque far notare - prosegue Bajc, - che un documento dei Servizi Segreti Britannici rileva come dopo la prima decade di febbraio 1945 la X MAS non ha più attaccato i partigiani, tranne quelli di Tito. Non meno significativi i dati riguardanti la strage di Porzus (7 febbraio 1945) che indicano il clima di sospetto creatosi intorno alla Osoppo. I britannici volevano capire che cosa fosse realmente accaduto e annotarono che alcuni capi osovani cercarono subito di puntare il dito contro i partigiani sloveni».
«Oggi - precisa lo studioso - molti indizi possono indurre ad ipotizzare una macchinazione dei Servizi Segreti americani, tesi avanzata a suo tempo (nel 1997) dal giudice Carlo Mastelloni. Non meno significativa la documentazione britannica riguardante le rivendicazioni territoriali dei partigiani sloveni, rivolte al territorio delimitato dall'Isonzo. Secondo le stesse fonti, negli ambienti osovani circolavano voci secondo cui le mire espansioniste jugoslave si spingevano fino al Tagliamento. Poteva essere una delle strategie utili a creare allarme per sollecitare gli angloamericani ad arrivare prima di Tito, come lo fu quella d'associare l'invio delle truppe jugoslave ai massacri che queste avrebbero perpetrato.
Dati significativi aprono la strada a nuovi percorsi di ricerca su una resistenza italiana che si sta sempre più demitizzando (in un certo senso potremmo anche riconsiderare alcune fasi della resistenza slovena/jugoslava). L'idea di una lotta comune contro il nazifascismo passava spesso in secondo piano. Nelle ricerche di Giulio Ceccato per il Veneto, per esempio, le forze anticomuniste cercarono di ostacolare in tutti i modi la presa del potere da parte comunista; al confine orientale la situazione era analoga, con l'aggravante del problema del confine. Gli stessi garibaldini si unirono in parte alle forze partigiane jugoslave del IX Korpus verso la fine del '44.
In difficoltà, a causa dei rastrellamenti minacciati dai tedeschi e dai loro fiancheggiatori, cercarono una via d'uscita, un luogo più sicuro, dai partigiani sloveni, che inoltre davano loro la garanzia di non disarmarli, come invece, erano intenzionati a farlo, alla fine della guerra, gli angloamericani».
«Interessante appare inoltre l'ottica con la quale i Servizi angloamericani interpretavano il comunismo jugoslavo - aggiunge Bajc, - spesso accusato di nazionalismo, ma in modo diverso da quanto emerge oggi dai media, per ragioni tutt'altro che storiografiche. I garibaldini (di fede comunista) non nutrivano fiducia nella democrazia italiana, temevano che nel dopoguerra le forze conservatrici potessero avere il sopravvento».
«I Servizi Segreti americani d'altronde rilevavano l'impegno dell'Italia, sul piano politico e diplomatico, a difesa dei confini orientali e la posizione del CLN triestino e giuliano.
Sottolineavano che la resistenza intorno al CLN giuliano era in sostanza molto scarsa, militarmente interessanti venivano recepiti solo i partigiani sloveni e jugoslavi. Ai garibaldini si riconosceva, invece, una forza militare e risultavano interessanti per i disegni strategici alleati così come lo erano gli osovani».
«Mentre in ambito sloveno si creò una grande frattura politica tra il movimento partigiano e quello antipartigiano con lotte sanguinose - sottolinea lo storico sloveno, - in Italia prevalse, nonostante la diversità o la contrapposizione degli schieramenti, l'intento comune di salvaguardare gli interessi nazionali».
«Per quanto riguarda l'insurrezione del 30 aprile, senza sottovalutare i combattimenti nel centro di Trieste, appaiono decisivi sul piano militare quelli svoltisi intorno alla città, soprattutto ad Opicina e a Basovizza. Sono del parere che al 30 aprile dovremmo attribuire un valore simbolico».
Marina Rossi
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