Ci venne detto che ormai la guerra era finita, Mussolini era stato fucilato il 25 aprile, la R.S.I. non esisteva più, il nostro comportamento di soldati era stato esemplare e come tali saremmo stati onorevolmente trattati accettando la resa. Continuare a combattere avrebbe significato solo un inutile massacro. La delegazione si ritirò per darci il tempo di decidere. Sarebbe tornata di lì a un paio di ore per avere la risposta.
Venne convocato il rapporto Ufficiali ed il Comandante illustrò la situazione, riferì le proposte di resa con l’onore delle armi e chiese il nostro parere prima di decidere. Il Comandante del “Lupo”, quale Ufficiale più anziano, a nome di tutti noi, disse, in sintesi, che per l’Onore c’eravamo arruolati e l’obbiettivo della sua salvaguardia di fronte alla Storia era stato raggiunto; nessuno avrebbe potuto dubitarne. Ora su di noi Ufficiali incombeva il dovere di non bruciare giovani e preziose vite con decisioni avventate per il gusto di un beau geste. Del resto questo era sempre stato il concetto ispiratore della nostra azione di comando, anche nei momenti più tragici e nei combattimenti più impegnativi. Non fu facile, però, far accettare il concetto di resa ai Marò, riuniti per l’ultima assemblea e soprattutto quello della deposizione delle armi. Fummo persino insultati dai più accesi, poi tutto si placò ed arrivammo alla cerimonia conclusiva. Tutti i reparti furono schierati in una formazione ad U di fronte al Comandante. Arrivò la delegazione degli Ufficiali inglesi ed il Capitano di Fregata Salvatore Di Giacomo, eroico comandante di Sommergibili in Atlantico e Comandante del I Gruppo di Combattimento Divisione Xª, passò in rassegna i Reparti sul “Presentat’arm”, rivolse loro un’accorata allocuzione, sottolineandone l’eroismo e terminò incitandoli ad essere, anche in futuro, cittadini esemplari al servizio della Patria. L’atmosfera era così satura di marzialità, commista a dolore e commozione che contagiò anche gli inglesi ed un loro Capitano volle parlare per aggiungere parole di comprensione della nostra situazione, poiché anch’egli ne aveva vissuta una analoga in Cirenaica, a Tobruk, quando aveva dovuto arrendersi alle truppe italiane ed in particolare al Reggimento Fanteria di Marina “San Marco” che assediava la piazzaforte inglese.
Tutto finì con un possente saluto alla voce “DECIMA MARINAI! DECIMA COMANDANTE!” e con un tentativo di cantare il coro del Nabucco, strozzato dalle lagrime sulle parole “O MIA PATRIA SI’ BELLA E PERDUTA…”.
Venne convocato il rapporto Ufficiali ed il Comandante illustrò la situazione, riferì le proposte di resa con l’onore delle armi e chiese il nostro parere prima di decidere. Il Comandante del “Lupo”, quale Ufficiale più anziano, a nome di tutti noi, disse, in sintesi, che per l’Onore c’eravamo arruolati e l’obbiettivo della sua salvaguardia di fronte alla Storia era stato raggiunto; nessuno avrebbe potuto dubitarne. Ora su di noi Ufficiali incombeva il dovere di non bruciare giovani e preziose vite con decisioni avventate per il gusto di un beau geste. Del resto questo era sempre stato il concetto ispiratore della nostra azione di comando, anche nei momenti più tragici e nei combattimenti più impegnativi. Non fu facile, però, far accettare il concetto di resa ai Marò, riuniti per l’ultima assemblea e soprattutto quello della deposizione delle armi. Fummo persino insultati dai più accesi, poi tutto si placò ed arrivammo alla cerimonia conclusiva. Tutti i reparti furono schierati in una formazione ad U di fronte al Comandante. Arrivò la delegazione degli Ufficiali inglesi ed il Capitano di Fregata Salvatore Di Giacomo, eroico comandante di Sommergibili in Atlantico e Comandante del I Gruppo di Combattimento Divisione Xª, passò in rassegna i Reparti sul “Presentat’arm”, rivolse loro un’accorata allocuzione, sottolineandone l’eroismo e terminò incitandoli ad essere, anche in futuro, cittadini esemplari al servizio della Patria. L’atmosfera era così satura di marzialità, commista a dolore e commozione che contagiò anche gli inglesi ed un loro Capitano volle parlare per aggiungere parole di comprensione della nostra situazione, poiché anch’egli ne aveva vissuta una analoga in Cirenaica, a Tobruk, quando aveva dovuto arrendersi alle truppe italiane ed in particolare al Reggimento Fanteria di Marina “San Marco” che assediava la piazzaforte inglese.
Tutto finì con un possente saluto alla voce “DECIMA MARINAI! DECIMA COMANDANTE!” e con un tentativo di cantare il coro del Nabucco, strozzato dalle lagrime sulle parole “O MIA PATRIA SI’ BELLA E PERDUTA…”.
Dal libro Sotto tre bandiere, del Generale Giorgio Farotti, Btg. Barbarigo.
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