Chi si ricorda più Quel conflitto fra l'Iran e l'Iraq?
di Adriano Gentile - 04/03/2011
Fonte: secolo d'italia
Fra il 1980 e il 1988 i due paesi combatterono una guerra sanguinosa con non poche ingerenze occidentali: un saggio ricostruisce quegli eventi I recenti venti di rivolta che giungono dal Maghreb ripropongono, al di là dell'urgenza degli interventi più immediati, la necessità di un ripensamento del ruolo dell'Italia e dell'Europa nel mondo. Il classico miscuglio di ritardo, incomprensione, indifferenza da un lato e cinismo, affarismo, ingerenza dall'altro mostra proprio in questi giorni tutti i suoi limiti. Per chi volesse ricostruire i precedenti di questa eclatante presenza/assenza dell'Europa e dell'Occidente sullo scacchiere globale giunge quindi particolarmente benvenuto il saggio a cura di Andrea Lombardi, La guerra dimenticata. Il conflitto Iran-Iraq 1980-1988 (Associazione culturale Italia, 262 pp, 182 foto a colori, € 32,00). I più giovani fra noi hanno in effetti un ricordo particolarmente vago di quegli eventi, che tuttavia non furono precisamente una scaramuccia di cortile. La guerra che vide coinvolti i popoli iraniano e iracheno, guidati dai due leader carismatici Ruallah Khomeini e Saddam Hussein, è stata infatti la più lunga guerra convenzionale del XX secolo. Iniziato con l'invasione irachena dell'Iran il 22 settembre 1980, il conflitto terminò con l'accettazione bilaterale della risoluzione 598 del Consiglio di sicurezza dell'Onu il 20 luglio 1988. La guerra costò un milione di vittime e 1,19 trilioni di dollari. Già prima dello scoppio delle ostilità, tra Teheran e Baghdad tutto contribuiva a inasprire le tensioni: sciiti contro sunniti, laici contro fondamentalisti, reciproche rivendicazioni territoriali, recriminazioni incrociate circa presunte ingerenze dei dirimpettai nella propria politica interna. E, non ultimo, l'aperta ostilità anche personale dei due capi politici: Khomeini e Saddam. Oggi i due leader non ci sono più: morto nel suo letto l'ayatollah, impiccato dopo un discutibile processo il rais. E tuttavia le istanze, i sogni, le speranze, gli obiettivi, le idee di cui si fecero vettori dominano ancora la scena. Così come ancora oggi si riscontra l'atteggiamento ambivalente di un Occidente che si vuole portatore di civiltà ma che sembra capace, più che altro, di speculare sulle disgrazie altrui senza saper proporre, in compenso, visioni realmente risolutive di qualsivoglia conflitto. Non a caso il saggio curato da Andrea Lombardi termina con un approfondimento dedicato alle responsabilità occidentali rispetto all'armamento ultra-moderno delle armate irachene. Parliamo di 86 ditte e ricercatori tedeschi, tra cui Rhein-Bayern, Daimler-Benz, Siemens e Thyssen, 18 britanniche, 17 austriache, 10 svizzere, 8 belghe, ma anche industrie russe, cinesi, svedesi, brasiliane, giapponesi, olandesi e iugoslave. Non mancano decine di società statunitensi, tra cui l'American Type Culture Collection, tuttora in piena attività, distintasi per aver inviato in Iraq non meno di 70 spedizioni di germi che causano l'antrace. E l'Italia? Sono nove le società del Belpaese coinvolte nel riarmo di Saddam: Audiset, Montedison, Snia Technit, Snia Bpd, Euromac, Danieli, Ilva, Technipetrole e il ramo americano della Bnl. Valsella, Misar e Tecnovar fornirono mine sia all'Iraq che all'Iran. Sono note, inoltre, le pressioni esercitate da Ronald Reagan su Giulio Andreotti per l'uso dell'Italia come appoggio per le forniture a Saddam. Episodi passati su cui manca ancora una riflessione matura e consapevole, nel nostro Paese. Ce ne sarebbe bisogno, soprattutto vista l'aria che tira nel Mediterraneo. Per non compiere oggi gli stessi errori di ieri.
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