lunedì 19 aprile 2010

I combattimenti del Btg. Lupo sul Senio, nella testimonianza del Sottocapo Luigi Sitia


Nella foto, sulla destra, Luigi Sitia. Milano, novembre 1944.

Testimonianza del Sottocapo Luigi Sitia, Btg. Lupo, sui combattimenti difensivi lungo gli argini del fiume Senio, tra Alfonsine e Fusignano, 1945.

Avevo diciott'anni; credevo, così come oggi ancora fermamente credo, in Dio e nella Patria e, con una trentina di ragazzi come me, al comando di un giovane sottotenente torinese, nella notte del 29 dicembre 1944, percorrevo una strada di campagna, qua e là sbranata dalle granate, in avvicinamento agli argini del fiume Senio, lungo via Stroppata.
Ci saremmo sistemati nelle postazioni scavate negli argini meridionali del Senio, più o meno all'altezza della frazione La Rossetta, poco distante da Alfonsine. Ogni tanto il fischio di un proiettile in arrivo ci obbligava a buttarci per terra, malgrado Capo Basadonna sbraitasse: "Camminare! Perdio!... Se fischia non colpisce!... È quando soffia, che bisogna buttarsi a terra!". Lui lo sapeva, perché reduce dalle ultime battaglie in Tunisia... era un "duro del regio San Marco! E, siccome piovigginava, ci ritrovammo presto tutti più o meno sporchi di fango.
In silenzio, su una passerella traballante, attraversammo il fiumiciattolo, poi io e Colombo, il porta arma, prendemmo possesso di un bel buco scavato nella fiancata settentrionale dell'argine e che fuoriusciva, con una stretta feritoia, sulla fiancata meridionale, proprio sopra i ruderi di alcune case da cui proveniva un incredibile profumo di caffè!
Lì sotto erano Canadesi.
I Tedeschi, a cui stavamo dando il cambio, avvertirono: "State attenti, hanno cecchini che non sbagliano!". Il giorno dopo Santoni doveva verificare l'esattezza di quell'avvertimento... Alzatosi in piedi sull'argine per sparare a colpo sicuro, nell'attimo successivo si ritrovò senza fucile e col braccio sinistro trapassato dal polso all'omero. Lo accolse l'ospedale di Argenta e per lui la guerra finì lì. Non per noi, che eravamo lì per dimostrare al nemico di sempre e soprattutto all'ex-alleato, che gli Italiani non erano banderuole e che sapevano anche perdere la guerra, senza perdere la faccia. Quella era la molla, la motivazione fondamentale dei Marinai della Xa Flottiglia MAS, ora presenti sugli argini del Senio, ma che già avevano lasciato non pochi caduti nella pianura di Anzio, nella ritirata lungo le strade toscane, nelle foreste del Cansiglio e tra le pietre delPIstria. Per qualcuno era anche difesa del proprio credo politico, ma per tutti valeva una sola professione di fede: "Fosse pure la mia, purché l'Italia viva?'.
Alcuni giorni dopo essere entrati in linea, era il 6 gennaio 1945, per alcuni di noi fu la sua!
Dovevamo attaccare alcune case poste all'inizio di via Bellaria, quelle da cui proveniva a sera il vigliacco profumo di caffè, per spodestarne gli occupanti... ma i Canadesi la guerra la sapevano fare, mentre noi volevamo soltanto farla, senza renderci ben conto che - per farla - bisognava voler uccidere!
Scesi cautamente dall'argine, aggirate le case, ci stavamo avvicinando all'obiettivo, quando improvvisamente fummo presi tra il fuoco concentrico di tre postazioni canadesi... Schiacciato nel fango, sentivo le pallottole dei Bren canadesi sfiorare le natiche fradice di fango e di pioggia, mentre l'urlo di un ferito a morte squarciava la notte: "Mamma!...aiuto! Mamma!". Ma gli rispondevano soltanto le raffiche sempre più fitte dei nemici. Poi una voce urlò: "II Comandante è morto! Rientrare!", il che equivalse al si salvi chi può.
Davanti a me vedevo la fiammella del mitragliatore canadese che sparava su di noi; non era a più di quattro-cinque metri... restando sdraiato lanciai una bomba a mano, che non scoppiò, poi mi alzai in piedi e raggiunsi, non so bene come, l'argine di corsa. Prima di afferrare il mitragliatore saltai sull'argine e scagliai una, due bombe a mano... tutte quelle che ancora avevo in dotazione, ma nessuna scoppiò. Il giorno dopo ci accorgemmo che quelle bombe erano state sabotate; non avevano il percussore!
Più tardi scrissi il brano che segue, già apparso su una pubblicazione del mio compagno di Battaglione Bonvicini, ormai salito sulle nubi del Cielo, e che mi legge da Lassù:" È finita. Incrostato di fango sono tornato al mitragliatore, mentre Franco è andato a dare una mano per trasportare il Comandante nelle retrovie. Rimango così, allucinato, con gli occhi sbarrati nelle tenebre, sotto la pioggia che è ricominciata e che ora picchietta con insistenza sull'elmetto. Ho ancora negli occhi tutto ciò che ho visto a pochi metri da me, mi si è infitto nel cervello quell'urlo disumano. Pare che i Canadesi non si accontentino della batosta che ci hanno inflitto: forse intendono sfruttare il nostro disorientamento. Si odono rumori sotto l'argine, raffiche di thompson fanno zampillare la terra ai bordi delle postazioni. Probabilmente non si credono in forze sufficienti, altrimenti attaccherebbero su tutta la linea.
Una rabbia sorda, forse reazione a tutto ciò che ho provato, mi assale alla gola. Afferro il mitragliatore e sparo, sparo un caricatore via l'altro e unisco una maledizione a ogni pallottola.
Verso l'alba mi sento diventato bambino, come quando avevo bisogno della mamma e m'abbandono sfinito sulla canna rovente dell'arma. Piango in silenzio, e sottovoce chiamo i camerati scomparsi...Gatti, Ferrano, Savona, Fanfani, Messina, il mio Tenente".
Due giorni dopo, previa intensa battuta di mortaio, attaccammo quei dannati casolari e li occupammo quasi senza colpo ferire, perché i Canadesi ebbero la buona presenza di spirito di andarsene dopo la prima grandinata dei mortai di Voltolina che con le mitragliere da 20 e i mortai ci sapeva fare. Tra le macerie trovammo ogni ben di Dio, dalle coperte di lana merinos alle cioccolate, dai barattoli di corned-beef ai pacchetti di sigarette Navy-Cut... anche armi e munizioni, molte delle quali traccianti, che impiegammo subito per far conoscere agli avversar! il nostro gradimento.
E sull'unica parete rimasta quasi intatta, il sottocapo Erasmi scrisse col carbone: Hic manebimus optime! Purtroppo non fu così. Erasmi cadde pochi giorni dopo. Così trascorsero i giorni di quei lunghi mesi: di giorno piovevano bombe e mitragliate dagli aerei; di notte si strisciava nel fango, fino a raggiungere le postazioni avversarie per gettarvi dentro qualche bomba a mano... e, ogni tanto, qualcuno non tornava nelle linee perché saltava su una mina o perché cadeva sotto le raffiche degli avversari.

Sulla via Pratolungo, alle nostre spalle, era una chiesetta abbandonata... vi approntammo il nostro cimitero di guerra e, quasi ogni giorno, dovevamo scavare una fossa in più. Quando ce ne andammo i tumuli sormontati dall'elmetto erano parecchi; quanti, ...non ricordo più, ma soltanto quelli della mia Compagnia erano almeno una decina, dal Gap. Strada al piccolo Farcis, dal sottocapo Challier al marò Leoni (saltato su una mina mentre tentava di soccorrere il sottocapo Marchetta) senza contare quelli caduti dall'altra parte dell'argine e quelli morti all'ospedale per le ferite riportate sugli argini insanguinati del fiume Senio.
Ora il piccolo cimitero è sparito. In quella terra di Romagna sono fioriti e restano ben custoditi i cimiteri che raccolgono i caduti tedeschi, inglesi, polacchi, canadesi ed ebrei, ma quelli che accolsero i morti da dimenticare sono spariti. Fino a qualche anno fa rimaneva la chiesetta, diroccata, con le tracce della scritta: "Xa - Lupo Fosse pure la mia purché l'Italia viva. Ci sarà ancora?... Almeno quella?
A fine febbraio 1945, quasi tre mesi dopo il nostro arrivo, mentre i Tedeschi avevano avuto due avvicendamenti e davanti a noi ai Canadesi erano succeduti i Polacchi e poi i Neozelandesi, così io scrissi, nel diario tracciato poi in prigionia, a est di Algeri: "Il giorno del diluvio si approssimava. Bisognava fare qualcosa, nella vana illusione di arrestarlo. I capisaldi inglesi, così come i nostri, erano collegati col telefono e dal Comando di Compagnia giunse un ordine: interrompere quei collegamenti! I cinque rimasti tirarono le pagliuzze... La paura, a momenti, penetrava fin dentro le ossa. Erano
cinque larve umane, ben consapevoli dell'annientamento finale. Ma ancora lottavano per allontanarne la data... e anche una pagliuzza poteva servire".
Qualche giorno dopo, sostituiti da soldati tedeschi, i resti del Btg. "Lupo" marciarono in silenzio verso Boccaleone. Là vennero avvertiti che sarebbero stati spostati nel Veneto e, una volta ripuliti e ricompattati, sarebbero stati trasferiti sulla frontiera orientale, dove già combattevano e morivano i ragazzi del "Barbarigo", derFulmine", del "Valanga", percon-tenere i partigiani slavi, che volevano scendere su Trieste. E i marinai della Xa Flottiglia MAS, trasformati in marò, cantavano: "... Navi d'Italia che ci foste tolte, /non in battaglia, ma col tradimento! / Nostri fratelli prigionieri o morti, /noi vi facciamo questo giuramento... / ...combatteremo finché avremo pace con onore!".
E i ragazzi del Btg. "Lupo" ebbero questo onore! Lo sanno i Padovani che li videro sfilare, insieme ai resti della Divisione Decima, davanti ai Neozelandesi che rendevano l'onore delle armi.
Un onore che non ebbero dai fratelli italiani, neanche dopo morti. Ma tutto ciò, ormai, non ha più importanza! I marò del "Lupo" sono ormai quasi tutti Lassù, affratellati a quei loro fratelli prigionieri o morti, per i quali vollero continuare a combattere fino alla fine, perché nessuno potesse dire, nel mondo intero, a cominciare soprattutto dai Tedeschi, che gli Italiani sono gente infida, che trovano sempre i modi e le giustificazioni per saltare sul carro vincente. E, certamente, ormai a conoscenza della Verità, pregano tutti assieme Iddio perché l'Italia viva!

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Il Comandante Bardelli

Il Comandante Bardelli
Rara foto in divisa da Ufficiale della Regia Marina

Il Comandante Bardelli

Il Comandante Bardelli
A Nettuno, nel Btg. Barbarigo della Xa MAS

Il Comandante Bardelli

Il Comandante Bardelli
Assieme ai suoi marò del Barbarigo

Decima MAS

Decima MAS
Ufficiali del Btg. Maestrale (poi Barbarigo): Tognoloni, Cencetti, Posio, Riondino...

MAS a Nettuno affondano un Pattugliatore americano

MAS a Nettuno affondano un Pattugliatore americano
L'azione di Chiarello e Candiollo in copertina all'Illustrazione del Popolo del 19 marzo 1944