Di seguito, la nota introduttiva al libro Marò a sedici anni, di Sergio Moro.
Oggi mi fanno paura quegli storici che sanno di avere sempre ragione e che pretendono di mettere il chiavistello e il sigillo di ceralacca a ricerche considerate tabù, i cui risultati considerano ormai da tempo assodati felicemente per il bene di tutti.
Oggi mi fanno paura quegli storici che sanno di avere sempre ragione e che pretendono di mettere il chiavistello e il sigillo di ceralacca a ricerche considerate tabù, i cui risultati considerano ormai da tempo assodati felicemente per il bene di tutti.
Ariel Toaff
Dalle memorie del Marò Sergio Moro, con la loro semplicità e schiettezza, emerge prepotente un amore per la Patria genuino, senza retorica, e il carattere equilibrato dello scrivente, un uomo − un ragazzo − che ama la sua famiglia e la sua Patria, e che ha fatto, sessanta anni fa, delle scelte che oggi appaiono straordinarie, ma che all’epoca hanno rappresentato la normalità per decine di migliaia di italiani. Una “normalità” di sacrifici e di sofferenze, di paura e di coraggio, per le quali questi italiani non hanno avuto medaglie o riconoscimenti, ma semmai angherie e disprezzo, se avessero militato nella Repubblica Sociale Italiana, o semplicemente sussiego se avessero servito nel Regio Esercito. La storiografia, e più in generale, quasi tutta l’intellighentsia culturale italiana hanno relegato in un angolo le vicende storiche e umane dei soldati italiani nella seconda guerra mondiale, divenuta “la guerra di Mussolini”, a tutto vantaggio di chi era stato − o si era accodato − in quella che la vulgata volle come unica parte vincitrice della “guerra di liberazione”, ossia la “Resistenza”, e preferibilmente quella di matrice comunista. Ancora oggi, infatti, nonostante una tardiva e limitata presa di coscienza da parte della storiografia ufficiale della partecipazione (peraltro marginale, e osteggiata dagli Alleati) del Regio Esercito alle operazioni delle FF.AA. Alleate in Italia nel 1943-1945, si arriva a presentare con gran rilievo mediatico, e ancor peggio, istituzionale, il diario di Bruno Trentin, rappresentante di spicco del sindacato e all’epoca giovane antifascista, dove la frase chiave del diario, pronunciata dal padre alla proclamazione dell’Armistizio, è: “È la guerra che comincia! [quella di “liberazione”, evidentemente, NdE]”. Alla quale fa subito eco il figlio: “La guerra vera per l’Italia vera“. Come se le migliaia di italiani morti tra le pietraie della Grecia, le nevi della Russia, tra le lamiere dei carri della Ariete nel deserto libico non fossero “veri”, non avessero famiglie che li piangessero, e l’aver combattuto, senza nulla chiedere, per la loro nazione non li qualificasse come “veri” italiani.
Tornando alle memorie del Marò Moro, vogliamo fare qualche riflessione sul ruolo militare avuto dalla Divisione F.M. San Marco della RSI nel 1944-1945. La storiografia mainstream presenta la San Marco, e, più in generale, le Divisioni dell’Esercito Nazionale Repubblicano (ENR) come unità le quali, dopo aver subito un addestramento disumano e spersonalizzante nella “Germania nazista”, ritornano in Italia accolte dall’ostilità del “popolo alla macchia”, vengono logorate dalle forze partigiane, e si sfaldano poco dopo con migliaia di diserzioni; inoltre, non combattono contro gli Alleati a causa della sfiducia dei tedeschi. Anche la storia orale, se raccolta dagli storici di sinistra, concorda appieno con tale impostazione, chiaramente subordinata ai dettami dell’ANPI: alcune testimonianze di militari − Ufficiali di complemento − delle Divisioni dell’Esercito Nazionale Repubblicano, portate alla nostra attenzione anni fa da una docente della Facoltà di Storia di Genova, e raccolte in una ricerca d’impronta resistenziale, deprecavano in maniera monocorde i propri camerati e Ufficiali, lamentavano le dure condizioni dell’addestramento in Germania, la sua “spersonalizzazione” e la volontà tedesca “di fare di noi degli automi”, mentre giunti in linea si criticava il rancio, le postazioni, l’inadeguatezza degli equipaggiamenti a fronte dell’inclemenza del tempo, etc.
Inizieremo con il commentare i punti sollevati dalle testimonianze citate, chiudendo poi con delle considerazioni generali sulle testimonianze stesse, e sul ruolo della San Marco nel 1944-1945, ragionando non secondo i canoni della storiografia resistenziale o quella reducistico-apologetica dei “soldati dell’Onore”, ma sforzandoci di seguire un approccio obiettivo, storico militare.
L’addestramento in Germania fu certamente duro, ma perché i soldati erano formati secondo la regola del “sudore salva il sangue”: l’addestramento doveva, per quanto possibile, replicare le reali condizioni di battaglia, integrando le lezioni apprese dalla Heer in anni di guerra, e inserite prontamente nei programmi d’istruzione. L’addestramento non formava “automi”, perlomeno non nell’accezione dispregiativa delle fonti resistenziali: il soldato doveva certamente essere condizionato a reagire automaticamente; in guerra un istante d’esitazione nell’affrontare in modo corretto un’emergenza, o nell’azionare con efficacia un’arma o un equipaggiamento, poteva portare a gravi conseguenze per il soldato e i suoi commilitoni. Al contrario delle “testimonianze” citate, i veterani delle Divisioni dell’Esercito Nazionale Repubblicano, Ufficiali e truppa, sia attraverso le loro memorie, sia in interviste o conversazioni da noi raccolte, hanno sempre posto in rilievo la meticolosità dell’addestramento in Germania, in grandi campi che permettevano ad esempio di compiere manovre con l’intera Divisione, anche con l’impiego dell’artiglieria media; la possibilità di addestrarsi assieme di più reparti, verificando il livello raggiunto nella coordinazione, comunicazioni, comando e controllo, era quasi totalmente sconosciuto in Italia. Il Tenente Licitra, del Gruppo Esplorante Cadelo della Monterosa, arrivò a dire che lui, già veterano di diverse campagne, solo in Germania si rese conto di “come si faceva la guerra”, e che gli istruttori tedeschi, anche solo per addestrare a tirare le bombe a mano, insegnavano diverse tecniche, a seconda della posizione del soldato e del bersaglio, etc. Il Tenente Licitra mise ben a frutto l’addestramento in Germania: il 26 aprile 1945, a Ruta di Camogli, un cannone controcarro PAK 40 facente parte di un reparto di retroguardia ai suoi ordini riuscì a distruggere un M4 A4 Sherman americano, e, unitamente al fuoco delle MG dei Bersaglieri del Cadelo, a bloccare così per diverse ore l’avanguardia di un gruppo di combattimento statunitense della 92nd Infantry Division “Buffalo” avanzante verso Genova. Un fatto d’arme senza dubbio minore, ma tuttavia indicativo dell’efficacia combattiva della Monterosa anche nelle ultime ore del conflitto. L’esperienza di guerra era trasmessa alla reclute anche nei dettagli più piccoli: ad esempio, il soldato era addestrato, una volta in posizione “a terra”, a disporre i piedi paralleli al terreno, in modo che un proiettile che passasse radente non colpisse il tallone: un veterano del San Marco riporta come un suo camerata di una squadra di fucilieri che non aveva rispettato tale prescrizione, durante un’azione ebbe il tallone asportato di netto da un proiettile che aveva invece mancato quello di un altro Marò, sulla stessa traiettoria ma con il piede nella posizione prescritta dagli istruttori tedeschi.
Sempre a riguardo degli “automi”, è da notare come la superiore efficienza delle unità tedesche, portò l’US Army ad attivare una specifica commissione (Historical Evaluation and Research Organization), la quale riconobbe empiricamente, anche con l’uso di modelli matematici, applicati alla ricostruzione di un gran numero di scontri tra unità Alleate, sovietiche e tedesche, una maggiore capacità combattiva, sia in attacco che in difesa, ai soldati della Wehrmacht rispetto ai loro avversari. Seguirono poi gli studi degli storici militari Liddel Hart, Martin van Creveld, Paul Savage, Richard Gabriel e Trevor Nevitt Dupuy, che analizzarono approfonditamente questi risultati, confermandone la validità. L’addestramento della Heer formava non solo gli Ufficiali, ma anche i Sottufficiali, e in una certa misura anche la truppa, all’Auftragstaktik, ossia al prendere, nel quadro della missione, l’iniziativa personale quando essa poteva essere fruttuosa, anche in mancanza di ordini specifici. Gli Ufficiali italiani che avevano combattuto accanto a unità tedesche concordano solitamente nell’affermare come un Ufficiale inferiore tedesco o addirittura un Sottufficiale esperto avessero un’autonomia e un potere decisionale in campo tattico che nel Regio Esercito era appannaggio solo degli Ufficiali superiori italiani.
Arrivando all’equipaggiamento delle Divisioni dell’Esercito Nazionale Repubblicano, i documenti, ossia gli organigrammi e i rapporti di forza e armi, danno un quadro ben diverso da quello diffuso dalla pubblicistica ideologicamente schierata: gli ordini di battaglia delle Divisioni al momento del rientro in Italia presentano delle unità dalla buona potenza di fuoco, sia all’interno delle Compagnie Fucilieri, sia nelle armi d’accompagnamento e d’appoggio: le Squadre furono dotate delle eccellenti mitragliatrici MG 42, e distribuite pistole mitragliatrici MP 40 e MAB 38 A, i potenti cannoni controcarro da 7.5 cm PAK 40 garantivano finalmente una efficiente difesa contro i corazzati, assieme ai lanciagranate a carica cava Panzerfaust, etc. Il limite delle Divisioni dell’ENR di essere ippotrainate, era comune a tutte le Infanterie-Division tedesche, anche se, in effetti, la decisione tedesca di usare queste unità come reparti di presidio e sicurezza, quindi per compiti di seconda linea, condizionò in maniera negativa il completamento dell’equipaggiamento in alcuni settori.
Tutto considerato, viene quindi da pensare che le testimonianze dei repubblichini citate siano state accuratamente scelte per il loro concordare (in buona o mala fede) con la vulgata resistenziale e che, alla luce delle circostanze illustrate, non siano certo indicative del morale e delle motivazioni della maggior parte dei componenti le Divisioni dell’ENR, e tanto meno della efficienza combattiva di queste unità.
A proposito delle diserzioni, prendendo in considerazione la San Marco, è innegabile che la dispersione in capisaldi della Divisione, lo stillicidio degli agguati partigiani, e la freddezza della popolazione, timorosa di rappresaglie dall’una e dall’altra parte, oltre all’incapacità di reagire alla situazione di alcuni Ufficiali, portò ad un notevole abbassamento del morale, e a numerose diserzioni. Su questo argomento faremo solo due considerazioni, frutto dell’analisi di dati di fatto e non di preconcetti ideologici: la prima, è che a fronte di queste diserzioni, che la vulgata presenta come la prova dell’inefficienza dell’Esercito di Graziani, rimane il fatto incontestabile e consequenziale, pura aritmetica, diremmo, che la maggior parte dei Marò rimase invece al suo posto, e che anzi, negli ultimi giorni di guerra, in una atmosfera di pesantissima tensione psicologica e fisica, la Divisione, finalmente a ranghi compatti, dimostrò sul campo l’efficienza combattiva imparata in Germania, superando diversi sbarramenti dei partigiani, combattendo in campo aperto. Questo fatto, incontestabile e consequenziale, per l’appunto, è invece chiaramente ignorato dagli storici engagé et similia, ovvero ricercatori, laureandi, dottorandi, giornalisti, etc., che preferiscono opportunisticamente non porsi contro una certa egemonia culturale, che gli garantisce in cambio carriera e prebende.
Come corollario, citeremo inoltre come da parte resistenziale sono oculatamente ignorate le diserzioni nelle unità partigiane; alla strombazzata diserzione del Battaglione Vestone della Monterosa (e chiaramente si evita di indicare come il Vestone fosse un reparto fuori organico, e che solo cinquanta uomini rimasero con i partigiani) si possono contrapporre i numerosi ex partigiani − spesso semplici renitenti alla leva − che si presentarono alle autorità o ai reparti militari della RSI, specie dopo i bandi di amnistia, e furono incorporati nelle FF.AA. della RSI: segnaliamo gli ex partigiani nel Battaglione Risoluti, o nel Battaglione NP della Decima MAS, che seguirono il reparto al Fronte Sud e in prigionia, nei Btg. Ruggine della GNR, etc.
In secondo luogo, osserviamo le statistiche relative alle diserzioni di alcune unità di fanteria dell’8ª Armata inglese nell’agosto-dicembre 1944 (da Eric Morris, La guerra inutile, pag. 522):
1ª Divisione: 626
4ª Divisione: 664
46ª Divisione: 1.059
56ª Divisione: 990
78ª Divisione: 926
Come si vede cifre di tutto rispetto, e teniamo conto che per i soldati inglesi, seppur coinvolti in aspri scontri, era evidente come la supremazia Alleata nello scontro di matériel li avrebbe condotti presto alla vittoria. Inoltre, a differenza dei soldati inglesi, gli effettivi delle FF.AA. della RSI operavano spesso vicino alle loro famiglie, e un momento di debolezza poteva facilmente spingerli a tornare a casa. All’opposto, per un Tommy o per un GI, la strada dall’Appennino bolognese a Leeds o a Milwaukee era una scoraggiante long way…
Per ultimo, veniamo all’importanza militare della San Marco (e delle altre unità dell’Esercito Nazionale Repubblicano) nel quadro storico militare della guerra in Italia nel 1944-1945. Ovviamente, la vulgata vuole questa importanza pari a zero, poiché le unità non sono impiegate contro gli Alleati, ma, schierate in Liguria, sono poi sfaldate dagli attacchi partigiani e si prodigano solo in rappresaglie contro civili innocenti e martiri partigiani, obbedendo ciecamente al bieco occupante nazista. La realtà, se vista obiettivamente da una prospettiva storico militare, è diversa. Il predominio navale Alleato, unito alla supremazia aerea, aveva reso possibile tutta una serie di sbarchi sulle coste italiane: dallo sbarco in Sicilia, compresi i successivi sbarchi minori, detti End run, per cercare di ostacolare l’ordinata ritirata tedesca verso Messina, a Salerno, sino ad Anzio. Per l’Alto Comando tedesco era quindi naturale pensare che gli Alleati potessero tentare dei nuovi sbarchi, particolarmente a Nord, dietro la linea del fronte (e in effetti sbarchi di diversione furono eseguiti nell’aprile del 1945 durante l’ultima offensiva Alleata sul Senio). Di conseguenza, nella seconda metà del 1944 i tedeschi si trovarono a dover presidiare sia la costa nord-occidentale italiana sia quella orientale; scopo arduo, con i mezzi risicati di cui disponeva l’Heeresgruppe B: basti pensare che per contenere le truppe Alleate sbarcate ad Anzio nel gennaio 1944, tra le unità inviate in emergenza vi era la 715. Infanterie-Division, la cui artiglieria era formata da pezzi di preda bellica russa da 76.2 mm, e le mitragliatrici distribuite alla sua fanteria erano in buona parte preda bellica francese, mentre anche alla scelta 4. Fallschirm-Division mancava del tutto il Reggimento d’artiglieria! Le unità dell’Esercito Nazionale Repubblicano permisero quindi ai Comandi tedeschi di poter liberare delle loro unità inviandole al fronte, impiegandole contro gli Alleati; e − diserzioni o meno − le GG.UU. dell’ENR eseguirono fino al termine della guerra la loro funzione di presidio (e non solo, considerate le numerose piccole azioni condotte sulle Alpi al confine con la Francia). Vista la superiorità numerica e in mezzi Alleata il poter inviare al fronte anche solo un paio di Divisioni, piuttosto che doverle tenere a scopo di presidio nelle retrovie, dovette rappresentare per i tedeschi un vantaggio operazionale notevole, e nuovo filo da torcere per gli Alleati nella loro lenta avanzata verso nord, dove ogni metro era fatto pagare a caro prezzo dalle veterane unità della Wehrmacht.
Inoltre, seppur limitatamente, le Grandi Unità dell’ENR, o loro aliquote, furono poi impiegate al fronte contro gli Alleati: oltre alle citate operazioni sul confine italo-francese, ricordiamo brevemente la partecipazione di parte della San Marco e della Monterosa alla riuscita Operazione Wintergewitter nel Natale 1944, e della Divisione Italia alla difesa della Linea Gotica. I Marò della San Marco e gli Alpini della Monterosa in particolare ebbero un buon comportamento al fronte, sia nelle dure condizioni della guerra di posizione, sia durante Wintergewitter, come testimoniato anche dagli encomi dei Comandi tedeschi.
Riteniamo che queste brevi note, pur nella loro sinteticità, possano tuttavia essere una traccia per poter studiare con maggiore distacco − e alla luce dei fatti, e non dei dogmi − la storia militare delle Divisioni dell’Esercito Nazionale Repubblicano.
Andrea Lombardi
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