STORIA VERITA’
EDITORIALE N.8
Con questo numero di Storia Verità, abbiamo voluto
analizzare il ‘rapporto’, complesso e per certi versi ambiguo, tra
Cinema e Guerra, e più in generale quello tra Cinema e Storia. Secondo
il parere (da noi condiviso) di Marco Cimmino, autore del pregevole
pezzo di apertura, “la storia si presta pochissimo alla
spettacolarizzazione: perfino la saggistica risente di questa situazione
ed anche gli storici più quotati devono lottare contro la tendenza a
rendere gli eventi più esteticamente gradevoli. Eppure, il cinema è da
sempre terreno prediletto per la descrizione di guerre, battaglie e
rivoluzioni armate. E la cosa si spiega facilmente. Su cento pellicole
di guerra che compaiano nelle sale, una percentuale minima descrive
avvenimenti militari con qualche richiamo alla realtà, mentre tutte le
altre si limitano ad applicare la regola manzoniana della
verosimiglianza”. Ragion per cui, il primo postulato che dobbiamo
porre, circa il rapporto tra guerra e cinematografia è che un film
bellico non andrebbe mai giudicato per come esso ricostruisca gli
episodi storici cui fa riferimento, ma per come sia in grado di
suscitare sentimenti e riflessioni nello spettatore. Insomma, un film di
guerra sarebbe (anzi è) un’opera sostanzialmente epica, spettacolare, e
come tale va giudicato nel suo complesso. Pertanto – sempre come
suggerisce Marco Cimmino – le critiche un tantino sussiegose e pedanti
di taluni storici a pellicole che, a detta loro, non corrispondono
strettamente alla realtà storica dei fatti, risultano decisamente fuori
bersaglio. Per quanto un regista voglia attenersi alla realtà dei fatti,
necessità di produzione e convinzioni personali impediscono quasi
obbligatoriamente la riproduzione filologica del ‘vero’. “Come scrisse di sé Curzio Malaparte, in certi casi non dobbiamo chiederci se una cosa è vera, ma semplicemente se è arte”.
Soffermiamoci sul contenuto, palese od occulto, inevitabilmente
ideologico, di buona parte dei film di Guerra o di Storia. Il
‘contenuto ideologico’ (quello che spesso mette a repentaglio la
veridicità del racconto) altro non è che l’insieme delle idee, delle
opinioni e delle valutazioni che il film trasmette, in relazione agli
argomenti trattati. Narrando un fatto, un film prende sempre una
posizione: un soggetto è buono e l’altro è cattivo; questa motivazione è
giusta, quella sbagliata, e via discorrendo. Inoltre, narrando un
fatto, c’è sempre una coreografia di oggetti e personaggi e uno sfondo
di situazioni e di avvenimenti che sono oggetto di una scelta in genere
precisa. Il regista non soltanto decide ciò che si debba vedere, e in
che termini, ma anche ciò ch’egli non vuole mostrare allo spettatore.
Anche se, non sempre il regista opera tali scelte consciamente. Egli
produce un’opera che ha una finalità duplice: riportare un fatto e
intrattenere il pubblico. Detto questo, il contenuto ‘ideologico’ (o
componente ‘ambigua’) risulta più evidente nei film che trattano di
politica, di guerra, e di fatti storici. I film su Napoleone dipingono
questi come un dittatore amabile, ma desideroso di gloria militare, e
‘suggeriscono’ quindi un suo lato oscuro, poco nobile. La corazzata Potemkin mette
in cattiva luce lo Zar ed esalta i rivoltosi: espone fatti, spesso
emotivi, che si prestano, per poi concludere che la Rivoluzione
d’Ottobre era giusta. Tutti i film sulla Seconda Guerra Mondiale
mostrano gli Alleati buoni e gli avversari (tedeschi e giapponesi)
cattivi e ingiusti a priori. Risultato: gli Alleati erano nel giusto;
anzi, la loro lotta era ‘morale’. Ma il contenuto ideologico non
riguarda soltanto grandi temi, sociali, politici o storici, e non
riguarda nemmeno le sole idee normalmente oggetto di dibattito. L’uomo
che spende tempo ed energie per conquistare la sua amata presuppone che
così si debba fare, opinione non condivisa in vaste parti del mondo. Un
traffico modesto o scorrevole è una lancia spezzata a favore
dell’automobile, mentre un traffico caotico mostra il lato sinistro del
mezzo. Una protagonista indipendente e di successo porta a vedere di
buon occhio la figura della ‘donna emancipata’, che poi, magari (ma nel
film non si vede) spende tutto per andare in analisi in quanto non
soddisfatta sotto il profilo sentimentale. Insomma: basta calcare
leggermente la mano e la realtà dei fatti viene meno, o meglio viene
menomata, mutilata. Ora, posto che, generalmente, per quanto si è detto,
il Cinema non è in grado di riportare il fatto storico, o bellico, alla
sua totale e compiuta verità, riteniamo interessante tentare, in
chiusura, una breve analisi e una valutazione differenti, cioè quelle
relative all’utilità e all’affidabilità del ‘documento’ cinematografico
ai fini dello studio della Storia. Osservando il cinema come strumento
di analisi sociologica o quale mezzo di puro e semplice svago, è
impossibile non fare a meno di notare quanto, nel corso del Novecento e
oltre, il ‘prodotto’ film, vuoi quello disimpegnato, impegnato o di
propaganda ideologica, abbia riflettuto più o meno fedelmente le
caratteristiche storiche del momento. Osservazione, questa, che potrà
sembrare banale o scontata, ma che, in ogni caso, riteniamo giusto
sottolineare. A partire dagli anni Ottanta, l’utilizzo dei film, e delle
registrazioni sonore, come ‘strumento storiografico’ è stato teorizzato
e sostenuto con convinzione (vedi gli insegnamenti della scuola
francese degli ‘Annales’) come elemento di compendio ed ampliamento
della documentazione storica, al pari di altre fonti più tradizionali,
come diari, manoscritti, relazioni, libri, atti notarili, amministrativi
e di governo, corrispondenze pubbliche e private, reperti iconografici,
dipinti e immagini fotografiche. E non parliamo soltanto del cinema di
propaganda o della documentaristica, ma anche dei prodotti cosiddetti di
fiction. In un primo momento, infatti, l’attenzione degli
studiosi si era concentrata unicamente film a sfondo ideologico e
propagandistico, tralasciando le altre tipologie, in realtà ricche di
riferimenti documentali utili per decifrare, sotto il profilo economico,
politico, sociologico ed anche psicologico, il periodo storico preso in
esame. “Sulla scorta delle riflessioni effettuate dai rappresentanti della scuola delle ‘Annales’,
l’utilizzo della produzione filmica a scopi storiografici è ormai un
dato acquisito (…) Mentre in precedenza gli intellettuali anglosassoni
avevano qualificato come possibile (ed attendibile) fonte complementare
soltanto la produzione di documentari di propaganda, successivamente,
alcuni storici francesi (tra i quali Marc Ferro e Pierre Sorlin) hanno
esteso tale funzione anche ai film di finzione”. (Andrea Sani, Il cinema tra storia e filosofia, Le Lettere, Firenze, 2002)”. “Soltanto di recente – aggiunge Giambattista Scirè ne Il film come fonte storiografica, Rivista di Storia contemporanea L’’Orco’, Anno 1, Numero 1, marzo-aprile 1997 – ci
si è accorti che il film costituisce una sorta di archivio non solo
quando svolge la funzione di documentario dell’attualità, ovvero parte
dall’analisi politica per filmare il reale e farlo vedere” (si
pensi al documentario –criticato dal governo di Pechino – sulla Cina
comunista realizzato nel 1973 da Michelangelo Antonioni). In questo
senso, il film è stato inteso come una ricostruzione dei rapporti
sociali che, con il pretesto del passato, riorganizza il presente. La
cinematografia, dunque, ‘interviene’ nella Storia, tanto più,
aggiungiamo noi, quanto lo Stato che ne controlla la produzione, vuole
imprimere ad essa significati ideologici più o meno accentuati.
Alberto Rosselli
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