La necessità per le FFAA della RSI in Liguria di affrontare la minaccia partigiana con metodi più efficienti rispetto a quelli tradizionali quali il pattugliamento attorno alle proprie posizioni o con rastrellamenti, spesso effettuati con forze insufficienti per controllare capillarmente il territorio interessato e per battere decisamente l’avversario, o con scarso riguardo all’intelligence e alla segretezza o al depistaggio del nemico prima dell’operazione, fece sì che altri reparti della Divisione F. M. San Marco adottassero talvolta i metodi di controbanda usati con tanto profitto dal Gruppo Esplorante divisionale.
Pertanto, all’interno del 6° Reggimento Fanteria di Marina, schierato nell’agosto 1944 nel ponente ligure tra Albenga, Savona e Finale Ligure, fu creato per tale esigenza tattica un reparto ad hoc dal personale delle diverse Compagnie del III Battaglione del Reggimento.
Nacque così la “Controbanda” , inizialmente al comando del Capitano Ivo Cardinali della 13a Compagnia, e poi del Tenente di complemento Costante Lunardini, nato a Brescia il 25 ottobre 1919. Dislocata a Calice Ligure, ebbe base operativa nella cappella di Santa Libera, ai margini dell'abitato.
Le foto della cappella e dei campi e sentieri posteriori rendono evidente come da dietro a essa ci si potesse dirigere sia sull'altro versante della vallata sia lungo essa senza essere scorti.
Quindi, alcune foto dei luoghi dell’azione per la quale la Controbanda di Calice Ligure è più ricordata: il riuscito attacco a un accampamento partigiano sotto Pian de Corsi nella notte del 2 febbraio 1945, ai danni del distaccamento “Rebagliati”. Di seguito, una ricostruzione dell'attacco:
Avvicinatisi in silenzio a breve distanza dal campo partigiano, all’ordine di Lunardini i Marò aprono il fuoco con le armi leggere e le MG 42 sui partigiani assopiti nelle tende sotto di loro: svegliatisi bruscamente tra le raffiche di MG che stracciano i teli delle tende, pochi partigiani cercheranno di rispondere al fuoco, mentre molti altri, scossi dall’attacco inaspettato e impreparati a respingerlo, si daranno precipitosamente alla fuga senza accennare a una reazione. Ecco la descrizione dell’inizio dell’attacco nelle parole del Marò della Controbanda B. P. (testimonianza inedita):
In testa procedemmo io con “Tarzan”, poi Lunardini, Falcieri con la MG, Contenta e Bolla, Baiutti e poi gli altri; in copertura c’erano il Tenente Fracassi con il suo 2° Plotone.
Quando dico “io” non è vanteria, ma il compito che Lunardini mi assegnò consegnandomi Armando Salsi “Tarzan” era di eliminarlo non appena eliminato “Tigre”.
Ma Armando tradendo la nostra fiducia indicò la tenda sbagliata salvando il “Tigre” – non era la tenda ultima a sinistra ma la penultima in alto a sinistra, con via di fuga.
Quindi, io, avendo in consegna Armando che indicava la strada, ero, per forza di cose, il primo. A Armando fu consegnato un revolver Glisenti armato di colpi a salve, ma lui lo ignorava.
Io, avevo quattro bombe a mano Balilla, la P38, il pugnale, e tengo l’infermiere sotto tiro del Mauser che era stato di Ermanno Prosperi. Dietro di me Lunardini, il mitraglie-re Mario Falcieri e Guido Contenta. Tutti carichi di Balilla. Io ne avevo quattro nei pantaloni: due nel tascone destro, due nel sinistro, in quella occasione eravamo tutti dotati di quel tipo di bombe, essendo molto rumorose.
Abbiamo cominciato a scendere in silenzio, senza rompere la crosta ghiacciata della neve. Dovevamo sorprenderli. Ma all’improvviso una gamba mi sprofonda, una Balilla mi esce dal tascone e rotola. Rotolando nel silenzio sulla neve gelata mette in guardia un partigiano. Sento la sua voce: “Ti ghe sentiu?” poi quella di un suo compagno: “Cusa t’ei sentiu?” e subito dopo, dietro di me, quella possente di Lunardini che urla nella notte: “Avanti, San Marco!”.
Eliminata ogni resistenza nemica organizzata con il loro sbarramento di fuoco di armi automatiche, i Marò serreranno le distanze, discendendo nell’accampamento, lanciando bombe a mano nelle tende e sparando a bruciapelo ai partigiani rimasti ancora in armi o non abbastanza rapidi nel deporle, e liberando alcuni Marò prigionieri. Il Marò Contenta descrive il corso del combattimento:
Noi eravamo quattro, ma più addestrati di loro, perché in Germania avevamo fatto tutto. Lì eri stato allenato alla guerra, capito? Eri stato allenato a strisciare per terra, a nasconderti, ad agire, come ti posso dire, con delle tecniche raffinate per arrivare sotto il bersaglio che volevi colpire, e sapevi sparare, ti sapevi defilare. Io capisco loro perché della gente raccogliticcia, te la porti in montagna e je fai fare il partigiano, tanto di cappello anche se non credevano alle nostre idee, ma questi poveracci erano comandati dal, come se chiama, dal Tigre, Genesio Rosolino. Quello era uscito dall’ergastolo di Alessandria. Era uno che aveva ammazzato e rapinato durante la guerra, che comandante poteva essere? Quando siamo arrivati noi, è scappato in mutande, invece di dire “Sparamo qualche colpo e vedemo come va”. Sono scappati tutti. Lasciando i morti.
L’azione era durata in tutto pochi minuti; ai Marò della Controbanda non rimase che rastrellare il terreno circostante, raccogliere le armi catturate, distruggere gli equipaggiamenti non trasportabili, e ritornare alla base, trionfanti e euforici per il successo riportato. I partigiani colpiti ancora nel sonno o mentre accennavano una disordinata reazione – che ferirà leggermente solo il Tenente Lunardini, all’inizio del raid – furono undici, mentre altri, una cinquantina, riusciranno a scappare seminudi attraverso una valletta sfuggita all’osservazione degli assalitori: tra di essi il comandante del distaccamento, Genesio Rosolino “Tigre”.
Andrea Lombardi per Associazione Culturale Italia Storica.
La Controbanda a Calice.
La cappella di Santa Libera.
La lapide ANPI nelle adiacenze (sic).
Pian de Corsi, lapide ai caduti partigiani nel raid.
Il bosco a Pian de Corsi.