"Un giorno, in pieno sole, il cielo cominciò a vibrare quasi improvvisamente nel fragore di centinaia di motori a pieno regime, e in pochi minuti la campagna mutò violentemente aspetto diventando un grigio disperato. La terra si mise a tremare, e una muraglia di polvere e fumo si alzò al disopra dei campanili ad oscurare l'orizzonte. Per due ore, centinaia di bombardieri a bassa quota continuarono invece a preparare il terreno dall'alto, chilometro per chilometro, dalla via Emilia ad Alfonsine.La muraglia di fumo sembrava scaturire con violenza naturale dalla terra stessa, avvolgeva i paesi, la pianura, ogni cosa. La Morte correva impazzita per i campi a cercarci. Avvertii l'ondata accostarsi velocemente, assordante, la vidi anche scuotere un filare di viti che si piegò come urlando sotto l'uragano, e fu come la terra stesse per mancarmi sotto e allora mi aggrappai ficcandovi le dita - e l'uragano passò in un baleno con un urlio spaventoso e pesante coprendomi d'aria e di terra e di sassi e tutto si muoveva e le orecchie fischiavano e il respiro non voleva più uscire dai polmoni. In batteria era tutto rovesciato e pieno di schegge e di terra, bossoli e granate buttati attorno ed anche un cannone piegato un poco sul fianco. Due feriti erano coricati in attesa dietro il muro di una casa. Passarono alcuni marinai con le barelle cariche, e dissero che alla batteria vicina c'erano anche dei morti. Gabriele aveva la divisa strappata e la faccia che sembrava uscita da una carbonaia; stava limando con cattiveria l'otturatore di un pezzo che non voleva chiudere, e teneva una sigaretta spenta tra le labbra. Arcangelo zoppicava attorno gridando ordini, e tutti lavoravano come dannati e capivano le cose al volo. Gli artificieri andavano in giro bestemmiando sulle ginocchia a cercare gli inneschi che si erano sparsi tra l'erba. L'attacco arrivò con un brontolio lontano e pesante di roccia che sta franando; allora noi aprimmo il fuoco sopra gli sbarramenti, alla cieca, e le bocche da fuoco rincularono urlando e liberandoci dalla tensione. Fu l'ultima sfuriata della guerra in Italia. Sparavano tutte le batterie e i gruppi tedeschi lungo il Santerno, e dall'altra parte c'era una bocca da fuoco ogni dieci metri; il mondo intero c'era, le schegge foravano gli scudi, i muri, spaccavano gli alberi, inginocchiavano gli uomini nell'erba, un fracasso da disastro ferroviario, bisognava urlare per intendersi; e non si capiva niente, però si capiva tutto, le ore passavano svuotando le riservette, la infermeria lavorava, il cimitero lavorava, tutti i santi lavoravano. Venne la sera e sparavamo ancora, venne la notte e sparavamo ancora, poi finirono le spolette e tirammo via le granate, così, tanto per sparare! Granate senza spolette, fuori anche loro, Cristo, fuori! Poi finirono anche le granate ed allora smettemmo davvero di sparare. Era mezzanotte e nel buio passavano lentamente gli ultimi uomini della Wehrmacht con le mitragliatrici sulle spalle e i nastri di pallottole appesi al collo. Noi avevamo ancora qualche pezzo lontano che stava ultimando metodico la scorta di granate. I colpi partivano ad intervalli regolari, quasi annunciassero la nascita dell'erede al trono".
Tenente Mario Gandin, aggregato al Gruppo d'artiglieria "Colleoni", Fronte del Senio, aprile 1945, dal suo libro "La caduta di Varsavia".